Bush: «Irresponsabile chi mi critica»

Il presidente Usa: «Facile attaccare il mio piano senza proporre alternative»

da Washington

Voi discutete pure, ma io tiro diritto. È il senso del messaggio che, nella sua omelia radiofonica del sabato, George Bush ha inviato ai suoi oppositori, all’America e al mondo. Assieme a un altro argomento di peso: criticate pure, ma poi proponete anche un’alternativa. Il presidente ha aggiunto qualcosa, non molto, alla descrizione del suo nuovo piano per l’Irak. Ha insistito che «è una strategia nuova con un compito nuovo: aiutare a mettere al sicuro la popolazione civile, soprattutto a Bagdad. Questa volta ci saranno sul terreno le forze necessarie per mantenere la presa sulle aree più pericolose. Sarà il governo iracheno a decidere come e dove e dunque a prendersi la responsabilità del successo o del fallimento. Questa volta le truppe irachene e americane avranno semaforo verde per entrare in tutti i quartieri. Il governo di Bagdad lo ha promesso. Se non manterrà, perderà la fiducia del popolo americano».
Cui Bush in realtà si è rivolto, raccomandando di avere pazienza, perché è possibile rimettere a posto le cose e perché l’America non può permettersi di essere sconfitta. Bush auspica che questa necessità sia condivisa dai suoi critici e rafforzi in loro il senso di responsabilità e soprattutto li sospinga a passare dalla fase del no a quella delle proposte alternative: «Opporsi a tutto e non proporre nulla è un atteggiamento irresponsabile. Lo so che molti membri del Congresso sono scettici e hanno il diritto di esprimere le loro vedute, e con forza. Ma coloro che rifiutano di dare una chance al mio piano, poi debbono mettere sul tavolo un piano che abbia più chance». L’opposizione finora non lo ha fatto e Bush vede un’occasione per batterla sul tempo: i democratici hanno la maggioranza in Congresso e dunque riusciranno a far approvare sia al Senato che alla Camera una risoluzione ostile all’aumento della presenza militare Usa in Irak, ma debbono ancora mettersi d’accordo su un testo; e quando l’avranno formulato i rinforzi saranno già arrivati a Bagdad. Il problema dell’opposizione è che non ha quasi nessuna arma per andare oltre un no politico e di principio. In America non esiste il voto di sfiducia e il presidente è anche il comandante delle Forze armate. Il Congresso può cercare di porre limiti alla sua azione, per esempio bloccando gli stanziamenti bellici, che però è mossa rischiosa perché presterebbe il fianco all’accusa di «voler abbandonare i ragazzi in uniforme». E l’argomento un po’ già funziona: la commissione senatoriale per le Forze armate ha accolto la deposizione del capo del Pentagono Gates con molta meno asprezza di quella che la commissione Esteri aveva riservato a Condoleezza Rice, che ieri è arrivata in Israele, prima tappa della sua missione in Medio Oriente, «ma non porto un nuovo piano» e che Hanyeh ha subito accusato di voler fomentare la guerra civile in Palestina. Questo anche perché Gates ha lasciato filtrare una promessa importante: se le cose andranno bene il ritiro delle truppe Usa potrà cominciare in ottobre. Se le cose andranno male si dovrà aspettare fino ad aprile-maggio 2008, ma in ogni caso ci saranno limiti di tempo.

D’altra parte preme sul Congresso l’opinione pubblica, che è per oltre due terzi contraria alla decisione di Bush. Sorprendentemente l’opposizione maggiore, un 70% di no, si registra proprio nel Sud, roccaforte del Partito repubblicano e della tradizione militare e patriottica.

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