da Washington
Nessuno si aspetta grosse novità dal messaggio sullo stato dellUnione che George Bush pronuncerà stasera a Washington (le 3 del mattino di domani, ora italiana), ma lattesa è egualmente forte. Le parole del presidente potrebbero infatti contenere, fra le righe, unindicazione delle sue intenzioni future nel caso, che rimane probabile, che il suo nuovo piano per lIrak fallisca. È presto per dirlo, naturalmente, anche se linizio della realizzazione del progetto coincide con una nuova e sanguinosa escalation della violenza, di nuovo diretta prevalentemente contro i militari Usa.
I trenta caduti del week-end hanno dato occasione allala più intransigente dellopposizione democratica di ribadire laccusa alluomo della Casa Bianca di «mettere a rischio delle vite americane per i suoi fini politici»: nella formulazione del presidente della Camera Nancy Pelosi, bollata da un portavoce di Bush come «velenosa», ma ribadita. Unindicazione sulla risposta è venuta da unintervista che Bush ha concesso al quotidiano Usa Today (25 minuti) proprio alla vigilia dellallocuzione sullo stato dellUnione. Per quanto riguarda lIrak la promessa è «nessuna promessa». Solo laugurio che il primo ministro Maliki si decida a mantenere le promesse e ad agire contro gli «squadroni della morte» sciiti, oltre che contro i sunniti.
Ci si aspetta che Bush lo chieda di nuovo in pubblico, oltre che nei contatti privati con Bagdad e, appunto, nellintervista: «Cè bisogno che siano gli iracheni a condurre queste operazioni, di fare ciò che è possibile per ristabilire lordine e la legalità». Un nuovo monito per ricordare che lulteriore impegno militare Usa non è incondizionato. Senza porre date, però: Bush resta convinto che la guerra possa essere vinta e soprattutto che stabilire un calendario per il ritiro delle forze Usa equivarrebbe ad ammettere le sconfitta e incoraggerebbe guerriglieri e terroristi. Fra le righe si potrà avvertire che Bush, questa volta, ha già pensato a un «nuovissimo» piano se il «nuovo» non funzionerà.
Una delle mosse potrebbe essere la sostituzione di Maliki con un altro esponente sciita meno dipendente dallappoggio dellestremista Al Sadr. Potrebbe essere Adel Abdul Mahdi, dirigente del Consiglio supremo della rivoluzione islamica e vicino allIran, ma forse alla fazione «moderata» del regime teocratico. E non basta: i democratici sospettano che luomo della Casa Bianca stia preparando un piano alternativo e più impegnativo: una ulteriore escalation nei preparativi militari contro lIran; qualche avvisaglia si trova anche nellintervista a Usa Today, in particolare nella risposta a una diretta domanda in proposito: «Se cogliamo gli iraniani a trasferire in Irak armi che possano essere usato contro le nostre truppe o quelle irachene, sappiamo come rispondere».
E non è il solo indizio. Le accuse di Washington a Teheran si vanno moltiplicando di giorno in giorno, mentre si fanno sempre più distanti le prospettive della apertura di un dialogo che invece molti auspicano; ultimo Henry Kissinger, che ha sollecitato Bush a sfruttare le conseguenze del suo «giro di vite» per avviare, da posizioni di forza, negoziati con gli iraniani e anche con i siriani. Altri, soprattutto nellala sinistra del Partito democratico, mettono in guardia contro una presunta «tentazione» di Bush: «Uscire dallIrak» entrando in Iran con una importante escalation del conflitto nel Medio Oriente.
Questa ipotesi avrà probabilmente un influsso immediato sulla strategia dellopposizione, che si prepara a presentare al Congresso (di cui ha riconquistato il controllo) una o più risoluzioni di disapprovazione e condanna dellinvio dei rinforzi. Come è noto il Congresso non ha i poteri di impedire un passo del genere. Potrebbe congelare gli stanziamenti militari, una mossa che apparirebbe però a molti «antipatriottica». Di questo dibattono da giorni le diverse correnti nel Partito democratico e i non pochi repubblicani che vanno prendendo le distanze da Bush sullIrak. Un testo troppo intransigente non arriverebbe a raccogliere quella maggioranza del 60 per cento in Senato di cui ha bisogno per avere un valore pratico.
Una soluzione potrebbe allora essere un documento che, riferendosi formalmente al conflitto in corso in Irak, cerchi di prevenire, negando un consenso politico, uneventuale azione contro lIran.
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