Se Giorgia Meloni ha da sempre una convinzione, rafforzata da quando siede al governo, è che la cultura è qualcosa di troppo importante per lasciarla agli avversari. Errore in cui il berlusconismo ha perseverato per anni ma in cui non sono caduti né il ministro Gennaro Sangiuliano, prima di essere massacrato per un caso inesistente, né - così sembra finora - il suo successore Alessandro Giuli. Si possono sbagliare, a volte, gli uomini. Ma non è sbagliato agire perché anche la politica culturale segua l'agenda di governo. Chi vince le elezioni decide incarichi, finanziamenti, priorità. Si chiama democrazia dell'alternanza.
E in tutto ciò finora la destra non ha mancato di rivendicare ciò che si è guadagnata nelle urne. Da qui l'attenzione al cinema (con la nuova legge sui finanziamenti), ai musei, al Centro per il Libro e la lettura (due ottime scelte ai vertici: Adriano Monti Buzzetti e Luciano Lanna), e poi ai teatri, ai festival, alla Rai (con parecchie incertezze, diciamo così...). Tutte cose che hanno irritato l'intellighenzia che fino a ieri dominava il campo. La destra sarà anche ossessionata dalla conquista del potere culturale; ma la sinistra lo è dalla paura di perderlo. Intanto, molte cose sono state fatte. Il lavoro di Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale di Venezia in primis. Poi quello - ottimo - di Mauro Mazza per l'Italia Paese ospite della Buchmesse. La grande mostra sul Futurismo alla Galleria nazionale di Roma diretta da Cristina Mazzantini. L'apertura di Palazzo Citterio a Brera, sotto la direzione di Angelo Crespi. La riapertura del Corridoio Vasariano a Firenze portata a termine dal direttore degli Uffizi Simone Verde... E abbiamo citato solo i risultati più visibili in cui il governo è direttamente coinvolto. Poi c'è tutto un lavoro, più sottotraccia, portato avanti da intellettuali «di area» o non allineati. Quando Giulio Base fu nominato direttore del Torino Film Festival parte della sinistra arricciò il naso: la sua prima edizione è stata un successo per qualità delle proposte e risposta del pubblico. L'attività di molte case editrici «non conformiste» è a livelli di eccellenza: citiamo giusto la Settecolori di Manuel Grillo, a cui la stessa Mondadori guarda con interesse. E per il giornalismo culturale basti fare il nome della rivista online Pangea di Davide Brullo, un modello.
Insomma, fino a qui una grande determinazione «a fare», con alcuni errori e scelte azzardate, certo, ma indubbiamente con risultati importanti. Ora però alla cosiddetta «destra di governo» serve un colpo d'ala. Un progetto fortemente identitario - non per la destra, ma per il Paese - che lasci il segno. Un grande festival delle arti? Un evento che valorizzi i borghi storici? Un vero potenziamento del Salone della Cultura di Milano?
Noi lanciamo una proposta (che otterrebbe un convinto sostegno anche a sinistra). Un museo del Libro e della lettura, con sede a Milano, capitale dell'editoria, o a Venezia, la città di Aldo Manuzio. Un museo che testimoni la storia di un'eccellenza italiana (si pensi all'editoria del '900) e nello stesso tempo funzioni da polo culturale: laboratorio, centro di studio, di formazione e di ricerca, ma anche «collettore di collezioni» (ce ne sono alcune private, straordinarie, che aspettano un luogo in cui essere collocate).
Con i giusti investimenti, un comitato scientifico trasversale e la necessaria volontà politica costituirebbe un'istituzione unica nel suo genere per lo sviluppo culturale, sociale ed economico del Paese. Pensando - tutti glielo dobbiamo - alle nuove generazioni.La destra dimostri di sapere osare.
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