Alla tv danno questo show che fa letteralmente sbellicare mezzo paese. La gente si raccoglie davanti a quel fascio luminoso e per qualche istante mette in pausa i pensieri più sconfortanti, arrendendosi a quella botta di leggerezza gratuita. Il tizio è ridicolo, diciamolo subito. Un pagliaccio nel vero senso del termine. Una folta parrucca riccioluta a sormontare la testa calva. Il solito trucco pesante. Qualche volta la patata rossa aggrappata al naso. Quanto basta per grattare le pance. Mamma e zia ridono di gusto. Ballano, anche. Sì, Carequinha ci sa proprio fare. Ora si avvicinano al divano dove è appollaiato, alquanto divertito, il piccolo Antonio De Oliveira Filho. “Careca! Careca! Careca!”, iniziano a chiamarlo in coro, forse per via di qui capelli aggrovigliati. Il ragazzino si alza e si accoda, festante, a quella samba tribale.
Papà e il padre di Pelé
Ok, sappiamo come dobbiamo chiamarlo, ma a questo punto serve una sterzata. Si dà il caso che papà sia un calciofilo convinto. Ma non uno di quelli che se ne stanno con le natiche incollate su una qualche tribunetta di legno lì ad Araraquara, fazzoletto di terra nell’enclave paulista, puntando sul risultato finale per addentare la cena. Papà gioca, e anche bene. Ala guizzante. Destro, sinistro svelti. Il pallone scorre disinvolto. E poi sta in squadra con Dondinho. Che, per inciso, sarebbe il padre di Pelé. Non è questione di virgole. La grammatica del calcio segue regole stentoree.
Quel provvidenziale quasi omonimo
E poi c’è un altro tizio che entra in tackle in questa storia che inizia dalle assolate distese pauliste, ma che alla fine saprà di golfo e impregnerà di salmastro. Si chiama Creca, che è quasi uguale al suo soprannome, e di cognome fa Fiocchi. Nitide origini italiane. Vive dalle sue parti e hanno giocato insieme nel campionato amatoriale. E lui lo vede, che il ragazzino ci sa fare sul serio. Così lo monta in macchina e lo conduce fino a Campinas, centro d’arruolamento di acerbi fenomeni del Guarani. Si presentano in 800. Le gambe si fanno inizialmente tremolanti. Poi tutto viene giù liscio, naturale. Un paio di provini. Preso.
L’esplosione al Guarani, la consacrazione al San Paolo
Careca è talmente talentuoso che a 16 anni lo aggregano già alla prima squadra. Lui si svezza, cresce in statura e muscolatura, affina le sue doti balistiche. Il tempo di prenderci le misure. Iniziano a grandinare conclusioni verso lo specchio. Infilza tutti con estrema disinvoltura, a manovella. Gol di un peso specifico monumentale. Il pubblico di spella le mani. Il Guarani vince il primo e unico campionato della sua storia. La sua stella è troppo baluginante per rimanere compressa in una galassia minore. Lo acquista il San Paolo. Vince ancora il campionato, diventa in fretta capocannoniere e miglior giocatore del Brasileirao. Troppa luce. Non basta più nemmeno questo contenitore. Dall’altra parte dell’oceano si leva una raffica di proposte indecenti.
Finalmente Napoli, finalmente Diego
In quella torrida estate del 1987 il calciomercato è un tourbillon. Lo pretendono praticamente in mezza europa. Lo circuisce il Real Madrid, sirena difficile da scansare. Lo vogliono in Francia. Sta per prenderlo il Torino, ma solo perché il direttore Luciano Moggi lavora lì. Quando invece lo ingaggia il Napoli, come biglietto da visita si porta appresso proprio il brasiliano. Ferlaino si fruga ed estrae, munifico, 4 miliardi delle vecchie lire. Careca esulta. Non avrebbe saputo sperare di meglio. Tutto quel che desiderava adesso è lì. Giocare al fianco di Maradona. Si gioca un’amichevole celebrativa. Napoli contro San Paolo. Ultima gara con in brasiliani. Segna.
Molto più di uno scudiero
Nel Napoli di Ottavio Bianchi è la propaggine inevitabile per comporre la MA - GI - CA, il soverchiante tridente formato da lui, Diego e Giordano. Si accomoda nella squadra che ha appena vinto lo scudetto con sublime naturalezza. Con Maradona sviluppa un’intesa salda fuori e dentro il campo. Nella prima stagione in azzurro segna 18 gol, sospingendo una squadra rimpinzata dal vicino trionfo finché può. Punta versatile, mostra in fretta come qualsiasi difesa sia frangibile, senza mai risultare insipido. I suoi gol, anzi, sono spesso zaffiri che riscrivono la semantica delle emozioni, mettendo a reddito una classe pura, traslucida. Ne farà 73 in 164 presenze, da lì al 1993, l’anno in cui i cammini si dividono. Durante la strada infilerà in tasca una coppa Uefa - primo trofeo internazionale del Napoli - e un altro scudetto.
Con Diego sviluppa un sodalizio poderoso, certificato dalle stesse parole del Pibe de Oro: “Antonio era un fenomeno e un amico. Uno dei migliori compagni che io abbia mai avuto”. Estro e gol a raffica. Un club privato nel cuore dei tifosi. L’amico geniale del migliore di sempre. Non male per uno che assomigliava ad un pagliaccio.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.