Il gol di Pelé all'Azteca: quel volo infinito sopra Burgnich

Il 21 giugno 1970, nella finale messicana contro l'Italia, O'Rei resta come sospeso in aria segnando una delle reti più iconiche di sempre

Il gol di Pelé all'Azteca: quel volo infinito sopra Burgnich

Rimessa laterale per il Brasile. Tostao sfrega il pallone con la maglietta verdeoro e serve Rivelino. Scelta indiscutibile, perché quello è uno che sa progettare calcio. Il tramestio incessante del pubblico che freme sugli spalti si addensa fino a scendere quasi in campo. In mezzo all'area già sfrigolano i corpi. Valcareggi ha impartito istruzioni limpide: inizialmente a Pelé ci doveva pensare Bertini, perché pareva che il dieci venisse più dentro il campo per poi sprigionarsi in progressione. Quando è stato chiaro che invece giocava davanti, il mister ha srotolato un bel discorsetto a Tarcisio: "Lo marchi a uomo, dove va lui vai te. Non lasciargli mai nemmeno mezzo centimetro. Asfissialo". Burgnich ha fatto sì con il capo, pronto ad eseguire. Una finale mondiale è una di quelle fenditure spazio - temporali che capitano molto di rado nella carriera di un calciatore professionista. E l'avversario è fenomenale, ma lui è già un pitbull che lo lavora alle caviglie dal fischio d'inizio.

Non può sapere, il pur ottimo Tarcisio, che quello che gli svolazza intorno è un elemento extraterrestre. Come una sorta di frammento meteroritico precipitato sul campo da una sperduta galassia lontana. Sì, d'accordo: se ne è avveduto parzialmente. Sa che O'Rei non è un soprannome che ti incollano per caso. Certe cose però, valicano l'umana comprensione. Rivelino ha una frazione di secondo a disposizione. Alza la testa. Contempla con la coda dell'occhio la cricca di maglie azzurre a gialle che rimbalzano in mezzo all'area. Rimugina soltanto un'istante ancora sulla forza da imprimere e sulla direzione più insidiosa. Poi crossa di prima intenzione.

Pallone che si impenna. Occhi che lo scrutano speranzosi. Burgnich incollato a Pelè. Che poi parliamoci chiaro: ha marcato pure Gerd Muller, uno che se gli concedi mezzo metro ti infila con brutale indelicatezza. Sa come domare il killer instinct altrui. Però compie un unico, impercettibile, errore. Cade nel tranello ordito da Rivelino, che ha sussurrato una traiettoria infida alla sfera. Tarcisio fa un passo in avanti, aspettandosi che il motivo del contendere divampi in mezzo all'area. Invece la scia è esterna. Una sola defaillance, ma sufficiente per armare l'intuito di Pelé, che gli ha già preso il tempo. Lui l'ha studiato approfonditamente. Sa che non ti devi mai far puntare, perché nessuno dribbla come lui. Nessuno possiede la sua velocità d'esecuzione. Confesserà in seguito il nostro: "Ho avuto a che fare con tanti fenomeni, ma nessuno come lui. Un Sivori ad esempio era fantastico, ma sapevo che andava sempre sul sinistro. Perlé invece trattava il pallone allo stesso modo con entrambi i piedi, era immarcabile".

Messico 1970

Però questo succede palla a terra. Pelé non si è certo fatto un nome infilzando porte a suon di incornate, come un qualsiasi manovale del calcio. E Burgnich è un autentico colosso, difficile da sovrastare nel gioco aereo. Il dieci però non se ne cura. Il suo disegno è più alto. Fluttua sulla mediocrità generale. Si stacca da terra facendo leva su tutta la potenza esplosiva dei suoi muscoli. Tarcisio pure stacca, quasi all'indietro, costretto ad un movimento innaturale da quella lettura livida: "Sono stato un pollo, se solo non avessi fatto quel passo". Come tutti i marziani, Edson Arantes do Nascimento non può fare le cose in modo terrestre. Deve incidere il match con una segnatura cosmica.

Salgono i due, dunque. Presto però la differenza si annuncia in tutta la sua cruenta verità. La forza di gravità richiama a terra Burghich senza che quello abbia incocciato il pallone. Pelé invece rimane innaturalmente sospeso in cielo, quasi a voler decidere lui il momento di scendere. Che poi è esattamente dopo aver girato di testa in rete, dove Albertosi non può proprio arrivare. "Pensavo fosse un essere umano - confesserà il difensore azzurro successivamente - invece quando io torno a terra lui è ancora lassù".

Il gol stappa la partita e avvia il Brasile verso un dilagante successo: 4 a 1. Non è stata sicuramente la sua più fulgida prodezza.

Eppure quel fotogramma se lo ricordano tutti: manifesto di una superiorità calcistica connaturata ai fuoriclasse autentici. Ricordo che copre anche il dolore della scomparsa, perché immortale. Il lascito di un tizio con il dieci sulle spalle che praticava un altro sport.

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