L’aereo fende placido la coltre di nubi che si è formata sopra l’Atlantico. Poi vira deciso, direzione Sudamerica. Accanto al suo sedile, due uomini discettano di cifre e collocamenti tattici. Sergio Martino – di mestiere regista, per deformazione professionale avidamente curioso – tende il padiglione auricolare. Sta andando in Brasile per un sopralluogo legato al suo prossimo film. La trama è divertente: c’è un allenatore sconclusionato che prova a rivoluzionare il mondo del calcio con le sue idee folgoranti. Quel che ha appena sentito potrebbe venirgli estremamente utile.
Quel dialogo in volo con Moggi e Nizzola
I due tizi che confabulano fitto accanto a lui sono Luciano Moggi e Luciano Nizzola, dirigenti del Torino calcio. Puntano al Brasile con un fine cristallino: far firmare il fuoriclasse Leo Junior, terzino sinistro e capitano del Flamengo. Martino si presenta, siede accanto a loro, si informa. Quel quadretto gli passa zaffate ispiratrici. Gli raccontano che Junior è un talento purissimo. Che lo cerca mezza Europa. In patria, al fianco di un certo Zico, ha già vinto tutto quello che si poteva vincere. Aveva iniziato da terzino destro, ma poi si è convertito sul lato mancino. Fluttua inarrestabile per tutta la fascia. Calcia le punizioni, anche. E le segna con glaciale attitudine. E il tocco palla? Vellutato. Autentiche carezze. Al regista brillano le pupille. Forse ha trovato il calciatore giusto per la Longobarda.
Canà, Bergonzoni e Giginho: il gran caos per “opzionere” Leo Junior
Così “L’allenatore nel pallone”, pellicola che dischiude sorrisi a manetta soltanto a pensarla, arricchisce la sua trama con un nuovo potente elemento. Oronzo Canà, alias Lino Banfi, vola in Brasile assieme all’improbabile intermediario di mercato Andrea Bergonzoni (interpretato da Andrea Roncato) con un proposito ambizioso: “opzionere” Leo Junior. Roba da grande squadra, si capisce. L’asso verdoro pare venuto appositamente al mondo per giocare nell’illuminante 5-5-5 del tecnico. Lo vogliono in tanti però. Tocca andare di persona per convincerlo che la Longobarda è la migliore delle destinazioni possibili. Giunti in Sudamerica incontrano Gigi Sammarchi, per i più intimi Giginho, che giura di avere in pugno Junior. Canà si sfrega le mani. In realtà sta per succedere un gran casino.
Il tentativo di truffa e quella salvifica telefonata a casa
Bergonzoni e Giginho sono in realtà due Giuda portatili. Tramano, gli improvvisati furbetti, per raggirare il malcapitato Canà. L’idea di fondo è semplice: imbastire una finta trattativa e intascarsi i soldi. Una truffetta all’italiana, con tutti i crismi. Si recano quindi al Maracana di Rio de Janeiro per assistere ad una partita tra il Flamengo e l’America. Junior è in campo e sfodera una prestazione abbacinante. Giginho, che oltre a fare da intermediario vende bibite e noccioline allo stadio, riesce a introdursi negli spogliatoi per fargli firmare un foglio bianco. Con Bergonzoni al fianco, torna sventolandolo dal tecnico pugliese: sì, il brasiliano è della Longobarda per la modica cifra di 10 milioni di Cruzeiro. Quando però Canà telefona a casa, alla moglie Mara, la beffa viene sventata. Lei lo informa che in realtà Junior ha già firmato per il Torino. Oronzo si affligge, ma Bergonzoni e Giginho rincarano la dose: gli propongono in alternativa Eder e Socrates. Nulla da fare. L’unico brasiliano contemplabile è il carneade Aristoteles, avvistato su un polveroso campetto di periferia.
Junior in Italia: da terzino a signore del centrocampo
Nel Belpaese Leo Junior ci arriva sul serio, dribblando le suggestioni cinematografiche. Se lo aggiudica dunque il Toro, staccando un assegno da oltre 3 miliardi di lire per superare la concorrenza del Napoli. C’è però una premessa che si ricollega a quel transoceanico volo iniziale. Moggi e Nizzola devono rassicurarlo di persona sul suo ruolo. Perché a trent’anni suonati, dopo una vita da terzino, Leo vuole tornare a gestire il traffico in mezzo al campo. Richiesta accolta senza indugio. Nei granata di Gigi Radice giostrerà da regista ad un tempo avveduto e luccicante.
Gli addetti ai lavori pensano che ormai abbia infilato una parabola discendente, ma Junior si allena duro e smentisce i menagrami. Diventa in fretta l’uomo a cui consegnare la sfera per metterla in cassaforte. Seguita ad essere velenoso sui piazzati. Più di tutto, certifica la sua essenza da leader. Stessa cosa a Pescara, la successiva tappa italiana. La piazza lo accoglie come se il pontefice avesse scelto di insediarsi lì. Nell’effervescente giocattolo di Galeone è capitano trainante per un paio di stagioni. Di lui Silvio Berlusconi, che un giorno scende a conoscerlo personalmente nelle spogliatoio, dirà: “Peccato che io sia diventato troppo tardi presidente del Milan”.
Il ritorno nel suo Brasile
Junior chiuderà la sua carriera lì dove tutto era iniziato, in Brasile, al Flamengo. Stavolta da regista, fino al 1993. In patria veste, naturalmente, anche la maglia della nazionale. Ai Mondiali dell’82 gioca terzino ed è, suo malgrado, l’uomo che tiene in gioco Pablito Rossi su uno dei tre gol italiani.
Non andrà meglio a Messico ’86, quando invece si disimpegna nel fulcro della contesa, sulla mediana. Resta, debitamente tirate le somme, la percezione di un fuoriclasse assoluto che probabilmente ha ricevuto dalla sua carriera meno di quello che avrebbe meritato. La Longobarda, si sa, passa una volta nella vita.
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