In un fine settimana sconvolto dal malore di Joe Barone, che ha costretto a rimandare una delle sfide più interessanti, possiamo finalmente entrare nella poco gradita pausa per le nazionali con qualche certezza in più e diverse domande irrisolte. Cosa si è visto nel weekend della Serie A? La parte finale di una triste parabola, passi avanti incoraggianti, una capolista col serbatoio vuoto e quello che la dirigenza di una grande aveva in mente ad inizio stagione. Ripercorriamo il meglio e il peggio di quanto si è visto nella 29a giornata del massimo campionato italiano nel nostro solito pagellone del lunedì. Godetevelo, visto che, fino ad aprile, non si parlerà che di nazionale. Bon courage.
Col turnover è un altro Milan (7,5)
Osservare la stagione del Milan non è un esercizio per cuori deboli. I rossoneri sembrano allo stesso tempo sempre sull’orlo di una crisi di nervi e capacissimi di tirare fuori energie insospettate per risollevarsi al momento giusto. A parte corsi e ricorsi storici, andare al Bentegodi e trovare un Hellas che sta compiendo un piccolo miracolo sportivo non sarebbe mai stata una passeggiata di salute. Mettere un convincente 3-1 dopo la prova messa nella bolgia di Praga non è un’impresa da poco ed andrebbe celebrata come merita. Come ha fatto il Diavolo smarrito e timido di qualche settimana fa a ritrovare le sue certezze? Semplice, ha ritrovato le sue certezze. Non vi sto prendendo in giro. Il fatto è che il sistema di Pioli può funzionare solo se ha a disposizione quelle pedine che la società gli ha messo a disposizione per gestire le fasi critiche della stagione. In estrema sintesi, se il Milan non può fare un turnover sistematico, non può funzionare. Ora, da qui a dire che l’uscita dalla corsa scudetto e dalla Champions è solo dovuta alla striscia pazzesca di infortuni muscolari ce ne corre, ma bisogna sempre tenerla nella giusta considerazione.
Ritrovare sia Kalulu che Tomori è fondamentale, anche solo per dare 45 minuti di riposo a Gabbia mentre avere alternative valide ha permesso a Theo Hernandez di ricaricare le batterie e tornare devastante. A chi si lamentava delle troppe opzioni a centrocampo, consiglio di guardare la partita di Reijnders, in crescita costante. Poi c’è Pulisic, che spacca sempre e comunque anche se gioca ogni singola partita ma Capitan America è hors categorie. Giroud riposa un’ora e si inventa il passaggio che Leao spreca, Musah è un’iniezione di vivacità mentre Chukwueze, una volta tanto, fa quel che ci si aspetta da lui: entrare e chiudere a tripla mandata la partita. Aggiungi la crescita di Okafor, anche senza segnare e le prestazioni mediocri di Loftus-Cheek e Leao si dimenticano in fretta. Insomma, Pioli con la rosa a disposizione è una cosa mentre quando deve fare a meno dei cambi previsti è tutta un’altra storia. Fossi un #PioliOut ci andrei un po’ più cauto.
La Roma sa anche ringhiare (7)
Una delle cose più difficili nel calcio è allenare la Roma e non farsi travolgere dall’entusiasmo di una tifoseria unica al mondo. Chiedere al Vate di Setubal per referenze. I critici di Daniele De Rossi continuano ad aspettare il primo passo falso per riprendere il solito, stanco refrain: “è solo fortunato”, “non è pronto” e chi più ne ha, più ne metta. Nonostante stia vivendo una stagione orribile, il Sassuolo ha cambiato pelle da quando è arrivato il maestro delle salvezze impossibili Davide Ballardini. I primi 45 minuti visti all’Olimpico sembravano confermare i peggiori timori dei fedelissimi giallorossi: senza Dybala è difficile rompere difese attente ed organizzate. La Roma, insomma, non brillava di luce propria e sembrava bloccata dalla gabbia messa in campo da Ballardini. Aggiungi poi il fatto che Lukaku si sia divorato due occasioni che uno col suo talento dovrebbe schiantare in porta sempre e che Aouar abbia sprecato la chance di risalire nelle gerarchie di Trigoria e la frittata sembrava davvero dietro l’angolo.
La differenza tra la Roma di Capitan Futuro e quella di Mourinho si capisce nella ripresa: i giallorossi di DdR non mollano mai, non smettono mai di giocare a calcio, hanno la pazienza di rimanere attaccati alla partita, consci che, prima o poi, uno dei campioni in campo troverà la giocata giusta. Basta che i centrali neroverdi gli concedano mezzo metro in più e Pellegrini fa una magia che può riuscire solo ad un campione in stato di grazia. Il resto? Luci e ombre, come succede sempre in partite come queste. Karsdorp corre tanto ma è impreciso, Mancini e Llorente sono quasi perfetti mentre Angelino ha il merito di portar via l’uomo a Pellegrini nell’azione del gol. Il centrocampo non brilla, con El Shaarawy che sembra predicare nel deserto prima di finire la benzina mentre positivi gli ingressi di Baldanzi ed Azmoun, che tengono la barra dritta quando gli assalti del Sassuolo si fanno arrembanti. La lezione più importante di questa gara solo all’apparenza facile è che la Roma ha imparato che, a volte, per vincere serve soffrire e mantenere i nervi saldi. Sembra niente, ma le grandi squadre si vedono da questi particolari. Schiantare le rivali, come visto col Brighton, fa bene al cuore, ma per vincere bisogna anche saper ringhiare.
Il Toro fa davvero sul serio (7)
Alle volte mi domando chi glielo faccia fare ai tifosi granata di tifare una squadra del genere. Come fai a non entusiasmarti quando vedi una partita come quella che il Toro ha messo in Friuli, spadroneggiando su una squadra reduce dalla vittoria all’Olimpico contro la Lazio? Il brutto è che, nel profondo, sanno benissimo che alla prossima partita potrebbe presentarsi in campo una squadra del tutto irriconoscibile, capacissima di buttar via gare praticamente già vinte. Forse sarà il fatto che ci sono rimasto scottato troppe volte, ma a giudicare da quanto visto con l’Udinese, questo Torino può togliersi soddisfazioni importanti. Se la difesa annichilisce i rivali bianconeri, a partire da Lucca che con Buongiorno non vede un pallone, Rodriguez, Bellanova e Ricci possono sbizzarrirsi in avanti, creando enormi problemi ai friulani. Se Gineitis pressa tanto, Vojvoda fornisce il cross decisivo per il vantaggio, approfittando degli sbandamenti della difesa udinese.
La notizia migliore di queste ultime settimane è che il talentuoso Nikola Vlasic sta lentamente tornando ai vertiginosi livelli mostrati qualche mese fa. D’accordo, un centrocampo in pausa pranzo come quello dell’Udinese non capita tutti i giorni, ma la costanza mostrata dal serbo nel cercare il gol è comunque rassicurante. Non molto distante, in termini di sollucchero per il popolo granata, la conferma che Duvan Zapata è l’attaccante che il Toro sognava da una vita: quando è in giornata è immarcabile e la sua sola presenza fa venire gli incubi ai difensori avversari. Okereke non è ancora al loro livello ma comunque sta facendo passi avanti. Rinviato, invece, Sanabria, anche se, a dire il vero, il Torino aveva già tirato i remi in barca. Insomma, il lavoro di Juric sta pagando, la squadra è cresciuta tantissimo in consapevolezza, mostrando sempre il cuore granata. A questo punto, sognare l’Europa è doveroso.
Napoli, discreto passo avanti (6,5)
Non so bene cosa si dica all’ombra del Vesuvio del lavoro di Francesco Calzona, arrivato nel momento peggiore con il compito poco invidiabile di rimettere in piedi una macchina perfetta andata in mille pezzi. Chi ha ancora negli occhi le meraviglie del Napoli spallettiano non sarà in grado di apprezzarlo ma, per quanto mi riguarda, il tecnico calabrese non aveva altra scelta. Affrontare a viso aperto una corazzata come l’Inter senza il faro dell’attacco, quell’Osimhen che è l’unico in grado di dare la scossa e punire ogni minimo errore, sarebbe stato un vero e proprio suicidio. Certo, vedere i campioni d’Italia chiusi in difesa come una provinciale qualsiasi non fa bene all’ego partenopeo ma, fino alla zampata di Darmian, aveva funzionato alla grande. Una volta capito che l’Inter non aveva le forze per stroncare l’avversario come suo solito, ha fatto qualche cambio e dimostrato che il Napoli può ancora giocarsela con tutte. Può sembrare scontato ma non lo è, visto i disastri degli ultimi mesi.
Il Napoli, quindi, può avere qualche certezza in più: Meret è affidabile come pochi, Rrahmani e Juan Jesus annichiliscono la ThuLa e Lobotka è un metronomo che mette qualità e tanta grinta. Non sarà proprio la spina dorsale spallettiana ma è un buon punto di partenza. Meno male, visto che il resto dei partenopei non fa certo un partitone: Olivera e Di Lorenzo faticano a contenere i laterali nerazzurri, Anguissa e Traoré corrono tanto ma in maniera talvolta confusa mentre il Politano vero si vede solo a tratti. I problemi veri, purtroppo, sono in avanti, dove l’assenza di Osimhen apre una voragine difficile da colmare. Raspadori la volontà ce la mette sempre ma non sa che pesci prendere: meglio, forse, la concretezza del Cholito Simeone, che ha troppo poco tempo per pungere. Kvaraskhelia nel primo tempo ha fatto poco o niente, per svegliarsi a tratti nella ripresa, prima di sprofondare nell’anonimato. La squadra, nel complesso, è comunque rimasta sempre in partita, lottando con determinazione fino alla fine. Un punto non cambia molto in classifica ma può fare miracoli in quanto ad autostima. Il Napoli non è ancora fuori dal tunnel ma la luce inizia a vedersi.
Lazio, accendi un cero al Taty (6,5)
Come chiudere la settimana forse più tumultuosa della storia recente della Lazio? Rischiando di continuare a sprofondare contro un Frosinone che, bontà sua, si è ricordato come si gioca a calcio. Tudor non è ancora arrivato ma la confusione è ancora tanta a Formello e dintorni. Martusciello onora l’impegno da professionista trovando il modo di tirare le fila dopo una prima mezz’ora da galleria degli orrori e sistemando il tiro all’intervallo, riuscendo in qualche modo a trovare una vittoria tanto importante quanto sudatissima. La cosa forse più interessante è notare come all’interno dello spogliatoio si trovi davvero un po’ di tutto. Ci sono giocatori che si ritrovano come Mandas (scivolone in impostazione a parte) e allo stesso tempo gente come Marusic, Casale e gli stessi Pellegrini e Romagnoli che fanno disastri su disastri, costando carissimo alle Aquile.
Per fortuna l’infortunio di Pellegrini concede spazio a Lazzari, che di benzina ne ha ancora tanta nel serbatoio e un Vecino che dà tanta sicurezza. Il resto? Guendouzi, a parte l’assist sul gol di Zaccagni, vive ancora di alti e bassi, Cataldi sbaglia cose non da lui e Felipe Anderson conferma di non vivere un momento felice. Il più in crisi di tutti, però, è la bandiera Ciro Immobile, forse distratto dalle tante voci di mercato ma davvero inqualificabile. Come ha fatto la Lazio a strappare i tre punti al Benito Stirpe? Perché ha in rosa tre campioni veri: Luis Alberto è tornato dominante, un vero e proprio punto fisso mentre Zaccagni, oltre al gol, suona la carica al momento giusto, dando ragione alla scelta di Spalletti. La vera sorpresa è l’impatto del Taty Castellanos, che ribalta la partita in cinque minuti, confermando che ha numeri importanti nelle corde. La sensazione era che soffrisse i diktat di Sarri: vedremo se con Juric saprà sbloccarsi definitivamente. I suoi gol servono come il pane in questo momento.
Ma quanto spreca il Bologna?! (6)
Considerato la corsa memorabile dei rossoblu, mettersi a fare le pulci al Bologna di Thiago Motta sembra un esercizio in futilità. Insomma, i felsinei sono riusciti a strappare tre punti in un campo mai semplice come il Castellani in una partita nella quale Elia Caprile fa 93 minuti da applausi a scena aperta, fino all’errore sul tiro di Calafiori che apre un’autostrada a Fabbian. D’accordo, è forse ingeneroso prendersela con una squadra che ha rischiato davvero poco in difesa, schiacciando l’Empoli per quasi tutta la partita, lasciando Skorupski più o meno a girarsi i pollici. La solitamente dinamica mediana rossoblu non ha nemmeno bisogno di fare chissà quali miracoli, a parte le corse di Kristiansen sulla sinistra e la mancanza di killer instinct di Urbanski e Saelemakers, che starà ancora lì a dare testate al muro per aver sprecato malissimo un’occasione d’oro nel finale.
Il bello e il brutto del Bologna, in estrema sintesi, è che non ha la cattiveria di ammazzare la partita, convertendo in reti sonanti le tantissime occasioni create nel corso della gara. Certo, Ferguson ed Aebischer non fanno la partita della vita, Ndoye causa un paio di gialli con le sue corse ma è ancora impreciso davanti alla porta. Meglio di un Orsolini che, completamente solo, riesce in qualche modo a sprecare. Menzioni onorevoli per Odgaard e per il ventenne Castro, che mostra una personalità niente male, considerato che sta giocando pochissimo. Eppure, senza l’ingresso da applausi di Giovanni Fabbian, l’Empoli sarebbe riuscito a portare a casa un punto d’oro. In poco meno di un quarto d’ora riesce a battere un Caprile in giornata di grazia, dimostrandosi ancora determinante per la stagione del Bologna. Tutto bene? Mica tanto. Creare così tanto per passare con un gol nel recupero non è certo rassicurante. Alla fine questi sforzi chiederanno il conto, proprio nel momento cruciale della stagione…
Inter, serve una pausa vera (6)
Pareggiare in casa con i campioni d’Italia in carica non dovrebbe essere considerato che un innocuo incidente, specialmente considerato che razza di stagione l’Inter sta vivendo. Il fatto, però, che arrivi dopo la cocente delusione dei rigori al Metropolitano ha avuto l’effetto di un chilo di sale su una ferita ancora aperta. Il fatto è che, nonostante l’errore nel finale, l’unico nel corso dell’intera partita, che ha regalato un punto al Napoli convalescente di Calzona, questo non può essere certo il passo falso che le rivali aspettano in gloria da almeno due mesi. L’Inter parte piano, senza la feroce determinazione delle scorse settimane per poi tornare quella di sempre dopo il gol di Darmian. Normalmente, quando fiuta il sangue nell’acqua, l’undici di Inzaghi si trasforma in uno squalo bianco, aggredendo la preda fino a quando non alza bandiera bianca. Il problema è che, stavolta, ha finito la benzina troppo presto, consentendo al Napoli di tornare in partita.
La difesa, a parte l’errore di Bastoni e il nervosismo di Pavard, sbaglia davvero poco, aiutando un centrocampo che, invece, è in riserva da un pezzo. Dei tre dioscuri della mediana non si salva nessuno, né un Barella poco lucido, né un Mkhitaryan impreciso come non si vedeva da anni, nemmeno il granitico Calhanoglu, che sembrava avere il freno a mano tirato. Inzaghi mette Frattesi sperando che dia ancora la scossa ma non ha la freddezza di sfruttare gli spazi aperti nella difesa partenopea. A tenere a galla la baracca ci pensa il solito Dimarco mentre Lautaro capisce che con Juan Jesus trovare spazi è un’impresa ed arretra per aiutare la squadra. Peccato che il suo sodale Thuram sia troppo brutto per essere vero; impreciso, abulico, disattento. Dumfries e Alexis Sanchez non hanno il tempo di incidere e, forse, avrebbero dovuto essere inseriti prima, quando l’Inter aveva ancora energie. Perdere punti scoccia sempre ma non ho visto problemi seri: solo una squadra scarica dal punto di vista fisico e mentale. Qualche giorno di riposo e tornerà la schiacciasassi di sempre.
Juve, meglio staccare la spina (4)
Non invidio i colleghi che devono descrivere giorno dopo giorno la stagione della Juventus. Quello che si è visto in campo all’Allianz Stadium, contro un Genoa meno pimpante di quanto visto recentemente, è al limite dell’indecenza. A parte la difesa, dove le sbavature sono poche e Gatti si improvvisa spesso attaccante aggiunto, il resto è di un brutto che non vi dico proprio. Cambiaso si ritrova solo nella ripresa, McKennie è irriconoscibile mentre Locatelli nel primo tempo viene annullato da Badelj e Frendrup. Miretti fa il percorso opposto, facendo seguire a 45 minuti convincenti una ripresa da dimenticare ma i problemi veri, purtroppo, sono in avanti, dove si va di male in peggio. Kostic è lontano mille miglia dal giocatore concreto e sempre utile di qualche mese fa, Rabiot nei pochi minuti concessigli dal fisico fa il suo ma non può caricarsi il reparto sulle spalle.
In mezz’ora Iling-Junior e Yildiz fanno vedere qualche giocata incoraggiante ma sono solo lampi di classe in un panorama desolante. A tradire Allegri sono i suoi due dioscuri, Federico Chiesa e Dusan Vlahovic, la cui regressione è difficile da credere. Se l’azzurro vaga smarrito per il campo, senza trovare mai l’intesa con i compagni, il serbo si dà un gran da fare ma è poco fortunato. Il problema è che la frustrazione la scarica sull’arbitro, che lo manda in anticipo sotto la doccia: farne a meno contro la Lazio è roba che Tafazzi scansate proprio. Piaccia o non piaccia, però, le colpe andranno altrove, al manico, a quel Massimiliano Allegri che non sta riuscendo a rianimare un gruppo che sembra avere solo voglia di mettersi alle spalle questa stagione.
La realtà è che, senza i guizzi dei singoli ed un pizzico di fortuna, questa Juventus anonima e deprimente sarebbe sprofondata molto prima. Non so come la vedete voi, ma, a questo punto, continuare sarebbe solo accanimento terapeutico. Meglio strappare subito il cerotto. Peggio di così è difficile fare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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