Sembrava assolutamente impensabile fino ad un paio di mesi fa. La Juventus era un panfilo malandato, che imbarcava acqua ad ogni giro di boa. Presa disonorevolemente a pallonate in Champions, luogo metafisico mai familiare, eppure – per solito – frequentato fino al pianerottolo degli ottavi. Infilzata e affondata nella piscinetta di casa, la Serie A, come un qualsiasi gonfiabile pagato sottocosto. Si moltiplicava, agli albori del campionato, il tramestio di voci che all’unisono sprigionava un grido pietoso: “Allegri out”.
Eppure, la Juve conserva questa attitudine genetica che la fa ciondolare sovente, ma mai rovinare al tappeto. Almeno sportivamente, s’intende. Dribblando le vicende giudiziarie per concentrarsi sul rettangolo verde, i bianconeri assomigliano ad un pugile che ne ha incassate parecchie, ma si rialza sempre ad un istante dal gong. Il terreno recuperato prima della sosta per il Mondiale – squadra al terzo posto, a meno due dal Milan – testimonia un’iniezione di cinica sicumera che sotto la Mole non si scorgeva da un pezzo.
E, a rimuginarci bene, quella fruttuosa rincorsa posiziona adesso la Vecchia Signora su una collinetta privilegiata, anche grazie ad una congerie di fattori che accadono simultaneamente. La Juventus può stirarsi le imperfezioni calcistiche contemplando il gran mucchio alle sue spalle dal riflesso nello specchio, ma se strizza gli occhi indovina, addirittura, il fuggitivo Napoli spallettiano. Una remuntada? Difficile, certo. Non impossibile.
I motivi per cui fa paura
Primo: Allegri ritrova finalmente Federico Chiesa. Congeniale per il suo 4-3-3, dilaniante nelle progressioni, sempre più pragmatico sotto porta. È mancato terribilmente: se avrà recuperato una condizione ottimale, promette di essere l’uomo in più del 2023 zebrato. Sull’altro lato torna Angel Di Maria: uno spaghetto che a Torino hanno gustato scondito, fino a qui. Galvanizzato dal trionfo mondiale, non più pressato dal terrore di infortunarsi, fabbricatore di sussulti sublimi. Se anche lui rientra al 100%, le retroguardie altrui devono iniziare a fare scorta di analgesici.
Certo, ci sarebbe da servire Vlahovic, zaffiro lucente spesso consegnato ad un destino desertico. In questo senso la crescita di Fagioli e Miretti, a tutti gli effetti due titolari aggiunti (e occhio anche a Iling jr) potrebbe mettere a reddito il killer instinct del serbo che resta, al momento, un potenziale fuoriclasse parzialemente anestetizzato. Inoltre, dopo un calvario lungo all’incirca come la distanza infilata tra la terra e Marte, potrebbe presto rientrare Paul Pogba: praticamente un nuovo acquisto. Moggi, ieri, ha detto che serve comprare a centrocampo, perché nessuno rifornisce adegutamente la batteria offensiva. Non ha torto, ma nel pacchetto che giostra dove infuria la contesa va rivalutato anche Adrien Rabiot: da ciondolante ammenicolo a lucente condottiero. A volte basta un attimo.
Il mercato che si apre, poi, potrebbe consentire di lenire alcune abrasioni ormai ataviche: serve un terzino sinistro di ruolo più affidabile di Alex Sandro, meno adattato di De Sciglio e più difensore di Kostic. Acquistarlo non pare una missione impossibile, al netto delle ultime difficoltà registrate dal club.
E poi c’è l’assenza di pressione che deriva dall’essere stati sbattuti fuori dalla Champions. L’Europa League non è una biciclettata nel parco, ma certo non assomiglia alla selva ghignante della rassegna maggiore. La Juve, pur largamente rimaneggiata, ne ha respirato un assaggio nella recente uscita londinese, contro l’Arsenal primo in Premier. I bianconeri non hanno praticamente visto palla, ma alla fine hanno vinto 2 a 0.
Manifesto di un cinismo che è sempre stato inciso nel dna del club e che, adesso, sembra riaffiorare.Il Napoli, certo, è lontano. Ma ora il campionato torna ad essere un boccone succulento da addentare. E la Vecchia Signora pare aver rimesso i denti per l’occasione.
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