
Negli anni ’70 il mondo del calcio aveva anche fiabe che diventavano realtà. Oggi nel distopico (e anche un po’ dispotico...) universo del football 2.0 c’è spazio solo per realtà che non possono diventare più diventare fiabe. Due esempi figli di epoche lontane, ma accomunate da campioni che a parità (o quasi) di talento, sono però lontani anni luce: da una parte Gianni Rivera, Pallone d’oro nel ’69; dall’altra Messi (8 Palloni d’oro) e Cristiano Ronaldo (5). Ma non è la classifica degli «Oscar del pallone» che ci interessa, bensì il contesto in cui questi trofei sono maturati nel corso dei decenni riflettendo in toto o in parte «usi e costumi» che differenziano clamorosamente la vecchio e la nuova immagine del top player. Prendete Gianni Rivera che, al massimo della sua carriera, rilasciava una sferragliante intervista in tram (in tram!) a Beppe Viola in una giornata uggiosa milanese con i passeggeri che ignoravano totalmente intervistato e intervistatore costretti a rimanere in piedi perché, nonostante fossero due Vip (ma all’epoca la parola non esisteva) nessuno gli aveva ceduto il posto. E inoltre: zero saluti alla telecamera, zero richieste di autografo o di selfie (ah già, all’epoca non esistevano neppure i telefonini) non esistevano...). Tanto che Viola, per ricevere un minimo di riscontro pubblico, dovette addirittura chiedere a una signora del tram: «Cosa ne pensa di Rivera?»; e lei, senza sbilanciarsi più di tanto: «Mi pare un bravo ragazzo...».
Pensate oggi un’intervista in tram con Messi o Ronaldo... Impossibile. Inconcepibile. Irreale. Come sarebbe stato irreale ai tempi del Golden Boy immaginare che, mezzo secolo dopo, due colleghi «golden» dell’«abatino» - la Pulce e CR7, appunto - sarebbero scesi in campo con una guardia del corpo a seguito: un bodyguard di protezione non fuori dallo stadio, ma «dentro» il terreno di gioco pronto a intervenire (nel caso di Messi è successo finora 11 volte) in caso di «aggressione» da parte di un fan. Stessa cosa capitata più volte pure a Ronaldo, che quindi negli ultimi tempi ha rafforzato il suo personale servizio d’ordine lungo la linea di fondo. Già, il «fondo verde» che un tempo era territorio sacro ed esclusivo solo per i giocatori titolari (le riserve si accomodavano in panchina facendo il giro largo...) e la terna arbitrale (ancora orfana di quarto uomo e Var). Perfino gli allenatori non potevano oltrepassare il confine immaginario che separava i protagonisti dai comprimari, ma non potevano neppure alzarsi dalla panchina e urlare. Chi lo faceva, magari accompagnando le grida con gesti di plateali, veniva ammonito o espulso. Il mitico Concetto Lo Bello i tecnici «nervosi» non li digeriva e così a ogni minima «reazione scomposta» li eliminava. Mica come il mister di oggi che, facendosi beffe perfino della ridicola «area tecnica», superano il tratteggiamento bianco entrando direttamente in campo costringendo i giocatori, che si «involano sulla fascia», a dribblare pure l' allenatore invasore.
Non c’è tecnico che non segua in prima persona tutte le azioni sbraitando 90 minuti su 90 (senza contare l’extra time); che non suggerisca ai propri giocatori il passaggio da fare o non fare; che si riposi almeno un minuto prendendo fiato tranquillo e seduto. La buonanima di Aldo Agroppi li definiva con tre semplici parole tranchant: «Sono dei pagliacci!».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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