Di sfide difficili nella sua lunga carriera ne aveva affrontate tante, ma stavolta nemmeno il suo proverbiale ottimismo è riuscito ad avere la meglio sul male oscuro che lo perseguitava da anni. Oggi se n’è andato a soli 58 anni anche Gianluca Vialli, ricoverato da giorni al Royal Marsden Hospital di Londra. Una notizia che è arrivata dopo voci che si rincorrevano da qualche tempo sul deterioramento della situazione medica dell’ex campione di Sampdoria e Juventus che ha gettato nello sconforto il mondo del calcio. Sebbene avesse appeso gli scarpini al chiodo 23 anni fa, quello che il maestro Gianni Brera battezzò Stradivialli non era affatto scomparso dal panorama calcistico italiano, cosa che rende la sua dipartita ancora più dolorosa per un mondo già colpito duramente dall’addio ad un altro blucerchiato doc, Sinisa Mihajlovic.
Luca da Cremona, professione bomber
Di strada il calciatore longilineo classe 1964 ne aveva fatta davvero tanta da quando tirava i primi calci al pallone prima all’Oratorio di Cristo Re e poi nelle giovanili del Pizzighettone, squadra della sua Cremona. Da passatempo per occupare le lunghe giornate della provincia lombarda, il calcio era diventato quasi una malattia per lui, ma per fortuna al pallone dava del tu, specialmente sotto porta. Anno dopo anno, guidato dal suo primo maestro, Emiliano Mondonico, Lucagol convince sempre di più, giocando sulla fascia dei grigiorossi. Se Boniperti si lascia sfuggire l’occasione di portarlo alla Juve, il grande presidente della Samp Paolo Mantovani scommette su di lui: un azzardo da due miliardi che pagherà dividendi mostruosi.
Ci vuole un vecchio marpione del calcio come Eugenio Bersellini per capire che il suo talento sottoporta poteva diventare devastante. Mancava però qualcuno ad alimentare il suo estro, uno dal piede speciale, uno come Roberto Mancini. La coppia inizia ad ingranare, tanto da attirare l’attenzione di Silvio Berlusconi, che lo vorrebbe come punta nel suo Milan stellare. Vialli considera seriamente l’offerta ma sceglie di restare a Genova. In un’intervista di qualche anno fa ebbe a dire: “Ci ho pensato una notte intera, quando Mantovani mi ha avvertito. La conclusione è che nelle grandi squadre, come Milan e Juve, sei soprattutto un numero in funzione dei risultati. E a me, in questo momento, interessa essere soprattutto una persona".
I gemelli del gol
Quando sulla panchina della Doria arriva Vujadin Boskov, Lucagol diventa incontenibile. Il maestro slavo ebbe a dire che "Vialli e Mancini sono meglio di Hugo Sanchez e Butragueño”, la coppia atomica del Real di quei tempi. I “gemelli del gol” sono la bandiera di quella Doria nata per andare contro alle grandi dell’asse Milano-Torino e si trovano a meraviglia. Mancini disse alla Gazzetta dello sport che “come attaccante Gianluca è stato sicuramente il più forte con cui ho giocato. Grazie all’enorme lavoro che ha fatto era davvero completo. Aveva tecnica, era intelligente, fisico e anche furbo". I grandi successi dei blucerchiati, dallo scudetto alla finale di Champions a Wembley, ne sono prova provata.
I due ogni tanto litigano ma sono davvero come fratelli e giocano insieme per sette anni, fino al 1992, quando Vialli finalmente approda alla corte di Madama Juventus. C’è chi dice che avrebbero potuto fare molto meglio della storica Coppa delle Coppe, specialmente con la maglia della Nazionale. La delusione atroce del San Paolo nel Mondiale di casa li perseguiterà per parecchi anni, fino alla redenzione finale, quell’abbraccio che ha commosso il mondo sotto l’arco di Wembley, con l’Italia campione d’Europa. Alla Juve aveva vinto parecchio, scudetti, l’agognata Champions ma quel giorno a Napoli gli era rimasto lì, come una grande incompiuta. Purtroppo il destino non ha voluto concedergli un’ultima danza con la coppa più bella.
Lottare col sorriso
Vialli aveva tentato la sorte dall’altra parte della Manica, allenando il Chelsea e poi il Watford. Visto il suo buon inglese, aveva anche scritto dei libri e trovato posto come opinionista nelle televisioni locali. Dal calcio, insomma, non riusciva a staccarsi, neanche quando sognava un nuovo modello di proprietà, dove i tifosi fossero davvero protagonisti. Avventure interessanti delle quali gli echi ogni tanto arrivavano in Italia.
A Londra aveva anche trovato l’amore e aveva messo su famiglia, pur senza staccare mai il cordone ombelicale con la sua Cremona. A cambiare le cose, nel 2017, l’annuncio che non vorresti mai ricevere, cancro al pancreas, uno dei più difficili da trattare. Gianluca aveva affrontato la sfida di petto, come sempre, senza perdere mai l’ottimismo. Dopo che il tumore era andato in remissione, raccolse i suoi pensieri e le sue considerazioni in un libro molto personale, “Goals”, scritto per aiutare la ricerca tramite la fondazione che aveva creato ben prima della malattia, nel 2004, con l’amico Massimo Mauro per combattere la SLA.
In quelle pagine Vialli si era messo a nudo, rivelando il suo rapporto con la compagna inseparabile di ogni malato: la paura. Le sue frasi sono emblematiche: “Ho bisogno di dialogare con la paura. La paura vera, quella che ti fa chiudere in bagno e piangere; paura di non riuscire a dire le parole che servono. Ne parlo con Cunningham: “Dottore lei crede che io possa guarire pensando in modo positivo che io guarirò”. Lui, uomo di scienza mi risponde di sì. È tutto quello che mi serve”. Dalla malattia aveva imparato a cambiare modo di pensare, piccoli esercizi atti a coltivare la positività, la meditazione come strumento per guarire. Certo, c’era anche la chemio e i trattamenti radiologici ma a cambiarlo per sempre era stato l’imporsi di pensare positivo, senza abbandonarsi allo sconforto. Quella pratica e quelle storie gli sarebbero state utili più avanti, quando avrebbe raggiunto il “gemello” Mancini alla corte dell’Italia. Senza il suo appoggio psicologico, forse, il miracolo di Wembley non sarebbe affatto successo.
Il lungo addio
Vialli ebbe a dichiarare che voleva che la sua storia servisse “ad ispirare le persone che si trovano all’incrocio determinante della vita. L’importante non è vincere; è pensare in modo vincente”. Alla lunga, però, la brutta bestia si era ripresentata, costringendolo ad abbandonare gli impegni ufficiali con la Nazionale italiana. L’annuncio era arrivato dal nulla a metà dicembre, poche parole scarne ma cariche di significato: “Al termine di una lunga e difficoltosa ‘trattativa’ con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri. L’obiettivo è quello di utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia, in modo da essere in grado al più presto di affrontare nuove avventure e condividerle con tutti voi”.
Il presidente della Figc, Gabriele Gravina e tutto l’entourage degli Azzurri gli avevano espresso la loro vicinanza, convinti che ce l’avrebbe fatta anche stavolta. "Gianluca è un protagonista assoluto della Nazionale e lo sarà anche in futuro. Grazie alla sua straordinaria forza d'animo, all'azzurro e all'affetto di tutta la famiglia federale sono convinto tornerà presto. Può contare su ognuno di noi, perché siamo una squadra, dentro e fuori dal campo".
Tutta la positività del mondo, purtroppo, talvolta non basta. Il cammino terreno di Gianluca da Cremona, il Re Leone amato dai tifosi di mezza Italia, si è fermato qui ma dietro di sé ha lasciato molto più che gol e trofei. Se chi l’ha conosciuto piange la dipartita di un amico sincero e leale, tutti potremmo imparare molto dalla sua esperienza, dalla sua feroce determinazione a non lasciarsi mai vincere dalle avversità.
Gianluca non c’è più, ma se riuscissimo ad applicare ogni tanto qualcuna delle sue lezioni nelle nostre vite sono certo che sorriderebbe ancora.
Goal in inglese non vuol dire solo rete ma anche obiettivo. Lui si era posto quello, molto ambizioso, di lottare fino alla fine, senza mai perdersi d’animo. C’è riuscito ancora una volta, dimostrando che, spesso, anche una sconfitta può nascondere i semi della vittoria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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