Cento e ancora più di cento i morti sui campi di calcio, atleti trafitti dal fulmine di Giove si usava scrivere poeticamente, improvvisi colpi al cuore, vista annebbiata, fine di una vita inseguendo un gol, appelli a fermare il gioco che, invece, continua tra lacrime e repressi sensi di colpa. Poi arriva la tragedia dei bambini uccisi da un razzo, non un fuoco pirotecnico ma la bomba lanciata dai terroristi di Hezbollah sul campo di calcio di Majdal Shams sulle alture del Golan. Ma nessuno chiede di fermare la guerra, come accade invece, dopo una tragedia, nelle partite di football, si piange per le creature innocenti che stavano giocando a pallone, imitando Messi e Ronaldo, Lamine Yamal e Mbappé, per loro nessun appello elettorale, meglio tenersi a distanza da certe falangi religiose, eppure sarebbe utile, necessaria, doverosa proprio la voce di un campione nel deserto delle parole ipocrite di repertorio, la guerra infinita, la sfida continua, i raid vendicativi.
E, invece, il silenzio furbastro, nei luoghi di ritiro delle varie squadre, tutto prosegue, anche tra i fischi e gli ululati del popolo-pubblico francese al passaggio degli atleti israeliani. Quella sì che è una manifestazione civile, quella sì che è libertà di pensiero e parola. Che muoiano i bambini mentre vanno in gol. L'ultimo, all'alba della loro esistenza.
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