L'Argentina arriva là, in semifinale, dove tutti la davano per certa. Traguardo minimo per chi per forza, storia e tradizione è da sempre nel ristretto circolo dei favoriti, quale che sia il traguardo per cui si parte. Ma quanta fatica e quanta paura, quanta rabbia anche per un recupero infinito che consente all'Olanda di completare la rimonta. Servono i rigori e fatti i conti è giusto così. Lautaro Martinez segna il tiro decisivo, e con l'omonimo portiere Emiliano, che ne para due all'Olanda, mette la firma sul passaggio in semifinale della Seleccion.
Prima o poi doveva succedere che nei maxi-recuperi accadesse qualcosa di importante e contestabile. Chi lo dimostra all'Argentina che erano proprio 10 i minuti extra da giocare in coda al secondo tempo? Forse il modesto arbitro spagnolo Lahoz, capace di ammonire una quindicina di giocatori senza mai mostrare di avere in mano la partita? E chi lo rende alla Seleccion il gol preso dopo che già quest' infinità di tempo era passata?
C'era la punizione, andava battuta, l'Olanda l'ha segnata con un'azione telecomandata, preparata nei minimi dettagli. Supplementari e tutto da rifare. Perché 10 minuti e non 9, che già sarebbero stati tanti? Per questo sarebbe molto meglio il tempo effettivo, salviamo il calcio per favore, e facciamo in fretta.
Solo Argentina o quasi per 80 minuti pieni. Poi Van Gaal prova a giocare per sé, visto che gli è riuscito di non fare giocare gli avversari, e all'improvviso la partita diventa un altro film. Tutto merito di Weghorst, 30 anni, ma soprattutto 197 centimetri, che al primo tentativo la mette dentro, ovviamente di testa. È l'1-2 che rianima l'Olanda e taglia le gambe all'Argentina, che all'improvviso si scopre col serbatoio in riserva e troppe seconde linee in campo. Paredes è un fantasma dannoso, capace solo di innescare una rissa da far west per un comportamento da bullo di periferia. La sua presenza decentra Enzo Fernandez e la squadra ci perde.
Tanto Messi, invece, come mai prima dei quarti di finale. Non è più quello dei bei tempi, ogni pallone toccato non vale una giocata come prima, ma il suo calcio resta importante e decisivo, a differenza di quello del suo eterno rivale CR7. Certo, la fatica dei supplementari non lo aiuta, ma è lui a segnare il primo rigore, quello che indirizza la sfida finale.
In Qatar, la Pulce segna e fa segnare, resta al centro della squadra, amato dai compagni e temuto dagli avversari. Magari sta anche 10 minuti fuori dal radar della sfida, però sai che c'è e soprattutto lo sanno i suoi compagni. Il modo con cui Leo manda in porta Molina è un colpo da genio, una rasoiata - senza guardare il compagno o il pallone - che squarcia la ragnatela di Van Gaal. Messi nasconde la palla ad Aké prima di lanciare Molina: con la colossale dormita di Blind, l'area diventa un'autostrada e Molina salta fila e casello con il telepass.
Sembra che non ci sia più storia quando ingenuamente Dumfries stende Acuna, appena dentro l'area.
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