Una telefonata allunga la partita

Una telefonata allunga la partita
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Trentanove chilometri e settecento metri, la distanza tra lo stadio Sinigaglia di Como e il centro Var di Lissone. Una eternità quando è arrivato il minuto 7 e 38 secondi nella ripresa di Como-Bologna. Patrick Cutrone aveva segnato il raddoppio per la squadra

di Fabregas, immagini chiare, nessuna protesta ma come si sa ormai qualunque azione deve essere verificata, così l'arbitro Piccinini ha portato la mano all'orecchio per mettersi in contatto con i suoi colleghi davanti ai monitor di Lissone. Negativo, silenzio, l'auricolare difettoso, le batterie scariche? Panico, ansia, nessuna risposta, il var era saltato, forse era stato inavvertitamente spento. Che si fa? Elementare, spunta un telefono cellulare, ripristinato il collegamento su canali tradizionali, sette i minuti finali per confermare la regolarità dell'azione. Duecentocinquanta chilometri di cavo stesi dall'Ibc centre per collegarsi con 17 campi di calcio, una propaganda spettacolare ma è bastato un improvviso

black out per mandare in tensione la mezza dozzina di arbitri, tra campo e centro (Nasa) Var.

È il ridicolo del nuovo football, incapace di affrontare «umanamente» una situazione di gioco, scaricando altrove la responsabilità di un gol, di un rigore. Una commedia voluta e interpretata da chi non ama davvero il calcio ma soltanto il proprio potere.

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