Il calvario del deputato Mercadante finito in cella per le chiacchiere tra boss

Il politico siciliano abbandonato da due mesi in carcere con accuse di mafia nate da intercettazioni che non provano alcun rapporto diretto con le cosche

Stefania Craxi

Capita, in Sicilia, di essere imparentati con un boss di mafia e di conoscere, per i più disparati motivi, persone legate ad ambienti mafiosi. Capita, come è successo a Giovanni Mercadante, il deputato regionale siciliano in carcere dalla scorsa estate e con problemi di salute, di essere riusciti a farsi avanti nella vita, raggiungendo i livelli più alti della professione medica diventando punto di riferimento di tutto l’ambiente sanitario, senza dover dire grazie a nessuno.
Capita di maturare una forte disponibilità all’impegno politico, riuscendo a ricoprire cariche istituzionali autorevoli. Capita che tutto questo venga mistificato, diventando motivo di pregiudizio. Che ogni atto della propria vita personale, professionale e politica venga guardato alla luce di una lente di ingrandimento che distorce i contorni delle cose.
Capita che tutto questo finisca per giustificare intercettazioni telefoniche e registrazioni ambientali. Per mesi e mesi e nel momento di maggiore esposizione pubblica di un uomo politico: quello della campagna elettorale.
Capita, allora, che qualcuno, già condannato per mafia, in quel momento a piede libero dopo aver scontato la sua pena, decida di salire nella tua segreteria e ti venga a chiedere favori (per i quali tu, puntualmente, neppure ti adoperi), facendoti capire che in cambio ti darà dei voti (che, puntualmente, non ti darà).
Capita che un giovane consigliere di circoscrizione, imparentato con qualche altro mafioso tratto in arresto nella stessa operazione “Gotha” (ne vengono arrestati “appena” 47, dislocati in ogni quartiere di Palermo), brillante e capace, abbia intenzione di diventare consigliere comunale. Per questa ragione si rende disponibile per la tua campagna elettorale, con la speranza, nel 2007, di essere candidato ed eletto.
Naturale avere dei dubbi; chiedere spiegazioni. Trattandosi di mafia, è naturale che si sottopongano gli indizi al riscontro di una fitta attività investigativa.
Inaccettabile invece che, alla fine di una campagna elettorale dalla quale Mercadante esce eletto per il rotto della cuffia, si finisca in galera e ci si rimanga da quasi due mesi per «pericolo di fuga», incolpati di «associazione a delinquere di stampo mafioso». Non di «favoreggiamento» o «di concorso esterno» dai quali Mercadante avrebbe potuto difendersi rimanendo in libertà. No. Associazione di stampo mafioso: accusa con la quale il malcapitato può essere tratto in arresto e, dopo il rituale rigetto della domanda di scarcerazione, viene trasferito da Palermo a Vibo Valentia.
Scatta, immediatamente, l’appoggio mediatico all’operazione. Di Mercadante si dice di tutto e di più. Uno stimato professionista e politico onesto, di colpo, diventa il concentrato di tutti i mali del mondo. Certo, in questo modo si può sostenere la tesi che è stato inferto un duro colpo all’’“intreccio politico-mafioso”. Si può dare il giusto risalto alla notizia, cosa che in tempi di elezione del Procuratore della Repubblica di Palermo, può diventare particolarmente significativo, esemplare.
Forse per questo Mercadante viene arrestato 14 giorni dopo l’operazione “Gotha”: da solo fa più notizia! Fa testo la dichiarazione del Superprocuratore Grasso che, all’indomani dell’arresto di Mercadante, corre in difesa dell’operato dei suoi ex sostituti, per dimostrare lo zelo garantista con il quale si è proceduto nei confronti del deputato forzista. Contro il provvedimento di arresto, Mercadante, oggi, rimane in attesa del giudizio della Cassazione.
Prima di mettergli le manette ai polsi, sarebbe stato giusto chiedersi quale atto criminoso Mercadante avesse compiuto a favore della mafia in tutti questi anni. La risposta sarebbe stata: nessuno. Perché, appena qualche mese prima, tutte le posizioni passate a setaccio dai Pm erano state archiviate.
Non c’è quartiere della città o paese della provincia dove Mercadante abbia preso un voto in più di quelli giustificati da una normale attività politico-elettorale.
Alcuni mafiosi, intercettati mentre parlano fra di loro, sostengono giudizi «non negativi» su Mercadante; un altro, al contrario, è lapidario nel sostenere l’assoluta indisponibilità dello stesso nei «loro» confronti. In più di dieci anni di controlli effettuati sulla vita di Mercadante, non una sola volta risulta abbia partecipato a un meeting mafioso o sia andato a incontrare «qualcuno» per discutere “qualcosa”.
Già, le intercettazioni. Non c’è Paese civile e democratico che dia ad esse un qualche valore giudiziario. In Italia, sulla base di discussioni fatte quando sai di parlare soltanto con i tuoi interlocutori e non ti preoccupi di dire “tutta la verità e nient’altro che la verità”, sulla base di discussioni fatte da altri sul tuo conto, intanto finisci in galera.
In Sicilia, questo capita più spesso. Ecco perché la mia proposta di legge per regolamentare le intercettazioni telefoniche e ambientali non può essere considerato altro che un passo in avanti, verso la civiltà.
Intanto verrebbe da chiedere al nuovo Procuratore capo di Palermo di rivedere la situazione giudiziaria di Giovanni Mercadante, consentendone la scarcerazione. Mio padre l’avrebbe definito fumus persecutionis, quello che si è addensato attorno a lui da anni.
Per lui vale, al momento, la presunzione di colpevolezza e non quella di innocenza imposta dal Diritto. Quando si parla di Mercadante, nessuno pare abbia intenzione di ricordarsi del cugino del padre, rigoroso Presidente del Tribunale di Palermo; di un suo bisnonno, anche lui ai vertici della Magistratura; di uno zio che fu un sindacalista socialista, coraggioso combattente contro la mafia dello Jato, poeta di buon livello. No, è soltanto il cugino di...
Pazienza, così funziona oggi il mondo mediatico e lo scontro mafia-antimafia. Però capita a tanti, se non a tutti, in Sicilia di avere un parente, un amico che sarebbe più conveniente non avere. Ci si ritrova spesso a essere sintesi genetiche, positive o negative, della dicotomia mafia-antimafia, della persistente antitesi tra il Bene e il Male.
Politici, giudici, imprenditori, professionisti, giornalisti, facciano una breve ricerca genealogica e se ne accorgeranno.
Cadono le braccia di fronte al comportamento dei dirigenti di Forza Italia in Sicilia che, su questa vicenda, quando non hanno taciuto impauriti, hanno parlato a sproposito. Nessuno di loro, a oggi, ha fatto uno sforzo per capire, prima di accodarsi alla retorica ipocrita e giustizialista che condanna le persone senza averle processate.


Gli uomini che sono stati votati dai siciliani anche per mantenere alta l’attenzione sulla grande, fondamentale questione dei diritti civili, forse a causa degli scontri interni, forse per paura di mettere in discussione il proprio orticello, forse perché anche loro interessati alla «campagna elettorale» per l’elezione del Procuratore capo di Palermo o per non so che cosa, da allora a oggi, non hanno proferito parola. Per la serie: il problema è di Mercadante e lui se lo pianga. Atteggiamento miope, oltre che scorretto, quello dei «garantisti a giorni alterni».

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