Nessun momento storico poteva essere più opportuno per la ripubblicazione di questo libretto intensissimo di Luigi Amicone, il carissimo Luigino, che ci ha lasciato tre anni fa. Sulle tracce di Cristo, cronaca di un viaggio in Terrasanta compiuto al seguito di don Luigi Giussani, ha acquistato attualità col passare degli anni, col susseguirsi delle speranze e degli orrori. Non è un viaggio nel passato, non è la rievocazione archeologica di un cammino di cui tanti vollero negare, in passato, la storicità. Seguire le tracce del cammino umano di Cristo è un'azione che ha senso solo se la sua radice è nel presente: un cammino che appartiene all'oggi, che si compie per immergersi nella profondità dell'oggi, sulle tracce di qualcuno (di Qualcuno) che ci interpella oggi - di più: che accade oggi nella vita di ciascuno, nella vita povera, mancante, dolorante, limitata di ogni giorno. Già il primo capitolo, dedicato a Tel Aviv e intitolato Il nervo scoperto del mondo, ci introduce nel clima di un viaggio speciale e imprevedibile: un clima drammatico non solo per le condizioni drammatiche di una terra che non ha mai conosciuto un periodo di vera pace, ma per il dramma di una decisione sulla vita che ci riguarda, di una scelta - se così posso dire - su come stare al mondo, adesso. Lo ricorda magnificamente Charles Péguy: «Venne Gesù. Doveva fare tre anni. Fece i suoi tre anni. Ma non perse i suoi tre anni, non li usò per piagnucolare e accusare la cattiveria dei tempi. Eppure c'era la cattiveria dei tempi, del suo tempo. Arrivava il mondo moderno, era pronto. Lui vi tagliò (corto). Oh, in un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Non incriminò il mondo. Salvò il mondo».
Nell'epoca tragica in cui viviamo, seguire le tracce di Cristo significa soprattutto questo. Ed è, se ci pensiamo bene, il gesto più libero e più politico che esista. Se non altro perché non ci permette di avere mai la coscienza a posto. La cattiveria dei tempi c'è sempre, ma da allora non è più una scusa.
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