A Cannes c’è il duce di Bellocchio Piace solo l’Italia del passato

ParigiIl cinema italiano deve evocare il passato per farsi accettare all’estero. È così da un pezzo: con gli Oscar - dai tempi della Ciociara a quelli di Nuovo cinema Paradiso, di Mediterraneo e La vita è bella - siamo condannati a recitare sempre le disgrazie d’epoca fascista o postfascista, dopo esserci fatti un nome - Neorealismo, ecco l’origine dei guai - con quelle d’epoca antifascista. Gomorra ha scontato il raccontare il presente restando fuori.
Anche il Festival di Cannes, che a questi film è servito da trampolino, resta fedele alla linea dell’ambientazione d’epoca: l'anno scorso Monica Bellucci si faceva ammazzare dai partigiani nei panni di Luisa Ferida in Sanguepazzo di Marco Tullio Giordana; quest’anno è Giovanna Mezzogiorno, nei panni di Ida Dalser in Vincere di Marco Bellocchio, a essere internata in manicomio - sovviene Angelina Jolie in Changeling, al Festival dell’anno scorso... - come ripudiatissima moglie di Benito Mussolini (Filippo Timi), cui s’era unita quando lui dirigeva il quotidiano socialista Avanti!, dandogli un figlio riconosciuto dal futuro Duce, ma non più fortunato di lei nel prosieguo.
È il lato umano della vicenda ad aver suscitato l’interesse di Bellocchio, regista politico, sì, ma sensibile soprattutto ai casi familiari, fin da I pugni in tasca. Alla notizia che il suo film era ammesso al Festival, come quasi tutti i suoi precedenti, il regista ha dovuto - che tristezza - precisare: «Quando ho scritto Vincere, non pensavo a Berlusconi, né ho fatto paragoni tra Mussolini e l’attuale presidente del Consiglio. Sono sincero, sebbene Berlusconi abbia in comune col Duce la grande capacità di usare la propria immagine. Ho fatto Vincere - ha proseguito - perché sono rimasto sconvolto dalla vicenda della Dalser». Con perfidia, Bellocchio ha concluso: «La Dalser è stata un’eroina antipatica, una rompiscatole che vuole affermare ad ogni costo la verità e i suoi diritti. Perciò l’ho amata e ho voluto Giovanna Mezzogiorno, che ha quel carattere (corsivo nostro, ndr), quella determinazione del personaggio».
Evitato dunque quest’anno un bis del piagnisteo del 2007, quando nessun italiano era in concorso, anche se i vari esclusi non saranno contenti. Per dare un po’ di tono alla compagine italiana occorre aggirarsi fra le interpreti, con Monica Bellucci fuori concorso in Non ti voltare di Marina De Van, francese, e Asia Argento, giurata. Ma sono attrici dalla carriera sempre meno italiana. Mentre torna con un film tutto spagnolo di Almodóvar, Los abrazos rotos, Penelope Cruz, che l’anno scorso era nel film spagnolo a metà di Allen (che le è valso un inatteso Oscar).
Del film d’apertura, il nuovo gioiello tridimensionale della Pixar-Disney, Up di Peter Docter, s’è parlato per il colpo inflitto dal Festival di Cannes alla Mostra di Venezia, che darà il Leone d’oro al nume della Pixar, John Lasseter, senza avere in cambio lo ius primae proiectionis del suo film. E Quentin Tarantino, idolatrato oltre misura da Venezia, ha dato a Thierry Frémaux, direttore del Festival, Inglorious Basterds, ispirato a uno scalcinato film di Fernando Di Leo. Sono questi, con Taking Woodstock di Ang Lee (il ricordo del Leone d’oro a Brokeback Mountain non l’ha riportato a Venezia...) i film americani in concorso.

Pochi? «Non è la crisi che ha ridotto la presenza di Hollywwod, ma lo sciopero degli sceneggiatori di un anno e mezzo fa. Non scritti allora, quei film non sono pronti adesso», spiega Frémaux. Ha il sorriso stanco ma felice non tanto del ciclista che è anche nel traffico di Parigi, ma quello di chi ora non dovrà vedere film. Per un po’.

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