Milano «Tra una settimana mi dimetterò dalla presidenza, a causa di una sentenza che fa di me un ladro. Manterrò un ruolo operativo. Ed Esselunga resterà un’azienda familiare, una società italiana. Non sarà quotata in borsa». Sono le parole di Bernardo Caprotti, quasi 86enne patron della catena di supermercati, pronunciate sul finire della presentazione milanese de Il mago della Esselunga, il cortometraggio realizzato dal regista Premio Oscar Giuseppe Tornatore che verrà distribuito dal 10 ottobre a oltre quattro milioni di fedeli clienti (muniti di tessera della catena). Caprotti ha mantenuto il riserbo sul nome del nuovo presidente, già individuato, che entrerà in carica tra pochi giorni. Dovrebbe comunque essere una figura del gruppo o ad esso molto vicino.
L’annuncio segue il recente verdetto del tribunale di Milano, secondo il quale il contenuto del libro Falce e carrello di Caprotti sarebbe «un’illecita concorrenza per denigrazione ai danni di Coop Italia» e merita quindi il ritiro dal mercato (oltre a una multa di 300mila euro). Una punizione esemplare che coinvolge anche il coautore Stefano Filippi (del Giornale), Geminello Alvi, autore della prefazione e l’editore Marsilio. Così imparano a toccare le cooperative... Il presidente dimissionario ha anche commentato il dispositivo dei giudici: «Spiace essere giudicato sleale perché per me è come essere considerato un ladro. Non lo posso accettare, è squalificante per un uomo d’affari, mi rimane appiccicata una etichetta terribile. In Falce e carrello ho scritto solo cose vere, accadute, in uno stile forse troppo scanzonato». La pratica, comunque, è ancora nelle mani degli avvocati.
E così, la cronaca e la politica finiscono con l’oscurare l’evento cinematografico: sedici minuti di spot con modalità di distribuzione inedite e, chi lo sa, positivamente innovative per un mercato, quello del grande schermo, messo a dura prova dalle tecnologie digitali e dalla pirateria. Difficile però scantonare dall’attualità. Già in mattinata, prima della proiezione, Caprotti aveva commentato il manifesto di Diego Della Valle pubblicato sulle pagine dei quotidiani: «Lui è tutto quello che io non sono. Il documento pubblicato sui giornali? Lo trovo singolare. E mi fermo qui»; aveva glissato su Silvio Berlusconi e il governo, riconducendo la crisi economica al difficile contesto mondiale; aveva chiesto maggiore libertà, andando oltre alle logiche di schieramento politico: «Fare ancora dei distinguo fra sinistra e destra è una grande stupidaggine perché a destra c’è chi non ci vuole, stando con i commercianti o gli ambulanti, mentre alcune amministrazioni di sinistra sono molto amiche. Poi ci sono realtà come Modena e Livorno che invece sono completamente chiuse»; aveva ricordato come il vero ostacolo, per gli imprenditori, tasse a parte, sia una burocrazia elefantiaca: «aprire un negozio di 4 mila metri in Italia è difficile come realizzare una centrale nucleare in Francia, ci vogliono 12-15 anni. In Italia tutto è normato, siamo il Paese con il maggior numero di regole al mondo».
Maggiore libertà, dunque. E «libertà» è anche la parola chiave delle dichiarazioni di Giuseppe Tornatore, colpito nei giorni scorsi dal «fuoco amico» di chi gli rimprovera di essere passato dalle Coop all’Esselunga, dal socialismo (?) al mercato, intascando una lauta ricompensa (600mila euro, lordi e tassati al 50 per cento, ha precisato lui stesso). Inammissibile per un uomo di sinistra? Forse cinquant’anni fa. Il regista infatti ha rispedito le accuse al mittente, bollandole come «idiozie». «Sono sempre stato schierato a sinistra - ha detto Tornatore - ma questo non mi impedirà mai di lavorare con chi ha idee diverse dalle mie. Mi rifiuto di ragionare con logiche antiche, trovo sconvolgente l’idea che si debba evitare il confronto. In passato ho girato spot per Coca Cola, Monte Paschi, Dolce & Gabbana, e ho partecipato a un progetto delle Coop: non ho mai chiesto come la pensassero i miei interlocutori, né mi interessa. Idem nella scelta dei collaboratori: scelgo il professionista. Non conta per chi vota. Comportarsi diversamente sarebbe come fare figli tra consanguinei. Difficile che vengano bene».
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