Camaiore. Museo Diocesano. Il San Giovannino riposa lì, sembra nato lì. Abita comodo in quella stanza. La luce è giusta. Lui è solo. In un'altra stanza vigila una Madonna annunciata di Matteo Civitali. Nessun pittore determina tanta suggestione, tante illusioni, come Caravaggio. Un tempo era più facile, la vita dell'artista, la sua impazienza, la sua fame di vivere, facevano escludere che potesse avere dipinto repliche. Caravaggio non ripete. Poi, il numero limitato delle opere, il desiderio di scoprire, la vanità degli studiosi hanno fatto saltare questo tabù. E così tutto è più difficile, e anche le valutazioni sono più complesse, o perché chiedono troppo o perché chiedono troppo poco. Così, c'è un doppio del Suonatore di liuto, che affianca quello dell'Ermitage, e c'è almeno un doppio dei Bari. Si propone alternativamente come autografo l'Estasi di San Francesco con l'angelo dei Musei di Udine. Dalla Svizzera si affaccia un doppio del Bacco degli Uffizi. Il rispetto per Roberto Longhi, padrino di Caravaggio, impedisce di giudicare il suo Fanciullo morso da un ramarro una copia. Con ragionevoli motivazioni si pretende di Caravaggio una seconda rotella della Medusa. Sta per riapparire, dopo anni di latitanza giudiziaria, una seconda e certamente pregevole Cattura di Cristo, in competizione o convivenza con quella di Dublino. Si conoscono otto versioni del San Francesco in meditazione, di cui almeno tre di concorrente qualità. Fortunatamente sembra sfumata la candidatura della versione inglese della Crocifissione di Sant'Andrea di Cleveland. Non è ancora stabilito quale sia la versione autografa tra almeno nove repliche della Maddalena in estasi. Grande confusione sotto i cieli caravaggeschi, dopo tanta luce sul pittore dimenticato, a partire dalla mostra di Longhi del 1951.
Ed ora la questione si ripropone con il San Giovannino, la cui versione di Monaco di Baviera è sostenuta da studiosi e pubblicazioni fino all'ultimo catalogo ragionato di Fabio Scaletti che riserva alla versione esposta a Camaiore, ma proveniente da Malta, la riduttiva condizione di «copia». Se non si ammettesse che Caravaggio ha replicato alcuni fortunati soggetti, sarebbe inevitabile. Da qualche mese, l'improvvisa apparizione dell'Ecce Homo a Madrid, sostenuto da un consenso unanime, ha aperto una nuova stagione di studi e ha consentito di fare chiarezza su dipinti di analogo soggetto, come quello dei Musei di Genova. L'identificazione di un dipinto attribuibile, senza margini di dubbio, a Caravaggio raffigurante un Ecce Homo non toglie interesse e rilievo all'importante dipinto attribuito allo stesso autore nel museo di Palazzo Bianco a Genova. Né va trascurato che un artista può avere eseguito più varianti autografe di uno stesso soggetto, pratica documentabile in più occasioni anche in relazione alla produzione pittorica di Michelangelo Merisi: basti pensare alle due Cena in Emmaus di Londra e di Milano. Peraltro, anche nel caso di Madrid si tratta sì dello stesso soggetto, ma realizzato in una composizione assai diversa, pur con gli stessi elementi iconografici.
Dubbi attributivi e alterne fortune critiche hanno accompagnato da sempre la vicenda dell'opera conservata al genovese Palazzo Bianco, la cui autografia, pur consolidatasi nel tempo, ancora oggi non vede un riconoscimento unanime da parte della critica italiana e straniera. La proposta autorevole di Roberto Longhi fu contrastata da quella altrettanto autorevole di Corrado Maltese. Alle mostre italiane e internazionali dove è stato esposto nel corso degli ultimi anni ha sempre figurato come opera di Caravaggio. L'attribuzione delle opere d'arte non è una scienza esatta e, se è possibile che in futuro si arrivi a una diversa identificazione dell'autore del dipinto genovese, non è il nuovo ritrovamento a metterne in discussione l'interesse. Si tratta, per altro, di discussioni relative alla ricerca storico-artistica, che non hanno nulla a che fare con l'immagine o la credibilità dei Musei. L'Ecce Homo di Palazzo Bianco è un dipinto di notevole qualità e di problematica attribuzione, trascurato fino agli anni Cinquanta, e se anche in futuro i progressi della ricerca in campo storico e artistico dovessero escluderlo dal catalogo del maestro lombardo, certo questo non diminuirà in alcun modo l'importanza del patrimonio artistico di Genova, così come non è mai accaduto quando la ricerca filologica, nella progressiva approssimazione, è stata considerata un avanzamento conoscitivo serio e rigoroso verso la verità storica.
Ora, dopo la rilettura di un documento sul San Giovannino di Malta da parte di Nadia Bastogi, le ragioni iconografiche sembrano a favore della versione maltese. «Quadro in tela entrovi un S. Giovanbattista nel deserto che giace sopra un panno rosso nudo di mano del Caravaggio lungo braccia 23/5 alto braccia 2 con sua copertina d'Ermesino verde» e con «a piedi di detto la croce di canna». Il dipinto nel 1641 si trovava nella Villa Medici di Poggio Imperiale per poi passare nel Palazzo Mediceo di Livorno. Questo fa concludere a Pierluigi Carofano, rispetto alla proposta di autografia per il San Giovannino esposto a Camaiore: «Oggi sono felice che quel fugace cenno abbia permesso ad altri di sviluppare l'ipotesi, che è poi alla base di questa mostra e dei testi contenuti in catalogo, ovvero che il San Giovanni Battista disteso qui esposto corrisponda in toto (provenienza, tecnica, dimensioni - cm 133x151 - e questione autografia) a quello ricordato nell'inventario mediceo e che dopo varie peripezie (ben ricostruite in catalogo) è giunto nell'attuale collezione maltese».
Questa lettura è certamente interessante e si affianca all'attenzione che al dipinto hanno prestato Mina Gregori, Roberta Lapucci e Francesco Moretti. La proposta ha raccolto l'attenzione di Pietro di Loreto, da qualche tempo intensivamente presente nelle questioni caravaggesche per fedeltà alla memoria di un illustre studioso come Maurizio Marini. Questi, manifestando le sue riserve, conclude: «Senza contare che la stessa vicenda del dipinto raffigurante il San Giovannino disteso non è priva di lati da chiarire e si ricollega agli ultimi tempi della vita del Merisi, allorquando nel tentativo di rientrare a Roma via mare da Napoli venne arrestato a Palo e perse di vista la feluca che trasportava doi S. Gioanni del Caravaggio - com'è scritto negli atti - oltre ad una Maddalena; com'è noto dalla biografia dell'artista scritta da Giovanni Baglione, un pittore dell'epoca suo rivale, Michelangelo Merisi sarebbe infine morto - malamente, così come malamente era vissuto -, forse per malaria sulla spiaggia di Porto Ercole nel disperato quanto folle tentativo di raggiungere a piedi l'imbarcazione che conteneva i tre dipinti che sarebbero stati donati al papa Paolo V Borghese, e grazie ai quali questi avrebbe cancellato la condanna a morte cui l'artista era incappato a seguito dell'omicidio del rivale Ranuccio Tomassoni, consentendogli di tornare a Roma, allora centro focale delle arti. Due noti studiosi esperti di Caravaggio, purtroppo scomparsi da alcuni anni, Maurizio Marini e Vincenzo Pacelli (autore quest'ultimo del ritrovamento dei documenti che attestano la presenza - dopo la morte del Maestro - dei due San Giovanni e della Maddalena nella casa napoletana della marchesa Costanza Colonna, sostenitrice e amica di Caravaggio) hanno sostenuto in pubblicazioni e saggi assai ben argomentati che il San Giovannino disteso fosse uno dei «doi S. Gioanni» presenti sulla feluca e che l'originale sia quello oggi in una collezione a Monaco di Baviera».
Due San Giovanni sono un indizio ulteriore a favore della versione maltese del San Giovannino, la cui invenzione è certamente di Caravaggio, e la versione di Monaco, con le sue varianti, lo conferma.
Le condizioni del dipinto mi suggeriscono di non prendere una posizione, ma di salutare l'occasione con le stesse parole di Carofano: «Credo che la mostra allestita presso il museo diocesano di Camaiore, in un ambiente assai suggestivo, debba tenere il plauso di un'intera comunità scientifica in quanto permette per la prima volta, di studiare con agio un'opera che numerosi studiosi hanno affermato essere interessante, anche come documento storico». L'allargamento degli studi e le possibilità di confronto sono il miglior risultato in questi anni di euforia caravaggesca.
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