Cari onorevoli, sull'amnistia io sto con Pannella

È una posizione impopolare che molti italiani non capiscono. Ma qualcuno deve smuovere l’indifferenza del Parlamento. Marco Pannella sfida la morte per dire che i carcerati hanno diritto a situazioni dignitose. Se l'Italia non può costruire nuovi penitenziari, si rassegni a trovare pene alternative

Cari onorevoli, sull'amnistia io sto con Pannella

L’ennesima violenza di Mar­co Pannella su se stesso (sciopero della sete, un ri­schio letale) lascia perplessi gli italiani se addirittura non li irrita. Perché è finaliz­z­ata ad accendere l'attenzio­ne della politica, e dell'opi­nione pubblica in generale, su un problema autentico, grave, che tuttavia la gente non considera neppure: la condizione disumana in cui vengono tenuti i carcerati. La mentalità diffusa è que­sta: chi finisce dentro ci de­ve rimanere per espiare. Non importa se la metà dei detenuti è in attesa di giudi­zio e non è detto sia colpevo­le. Non importa neppure che la Costituzione (oltre alla tradizione di civiltà) sia chia­ra: la pena deve servire a emendare (rieducare) e non può trasformarsi in una sorta di vendetta contro il reo, il quale dunque sia pri­vato della libertà, ma non della dignità.

Il più delle vol­te questi discorsi teorici fan­no venire i nervi a chi li ascol­ta, convinto semmai dell'op­portunità di infliggere qual­siasi tormento a chi sta die­tro le sbarre, così impara a non delinquere. Se le prigioni sono sovraf­follate, indecenti, stabili­menti di tortura dove la pro­miscuità annulla la perso­nalità e abbrutisce, chisse­nefrega: tanto peggio per i criminali, tanto meglio per noi onesti. L'idea cambia se all'onesto capita (eccome se capita) di essere arresta­to, magari per errore. Allora prova cosa voglia dire nel Terzo Millennio subire umi­liazioni di tipo medievale e si propone, appena fuori, di dedicare il resto della vita al­la battaglia: riservare ai car­cerati un trattamento alme­no cristiano se non proprio civile.

Peccato che dopo un me­se di libertà, il ricordo dei pa­timenti sbiadisca e la volon­tà che essi non si ripetano mai più, per nessuno, evapo­ri e lasci il posto ad altri im­pegni. Sicché per i detenuti si perpetuano indicibili sof­ferenze. L'unico politico che invece non dimentica mai nessuno, nemmeno gli «ultimi», è Marco Pannella, eroe (senza retorica) di mil­le guerre contro le ingiusti­zie (e a favore dei diritti), al­cune perse e molte vinte. Lui, il Grande Radicale, ha speso l'esistenza non per ar­ricchirsi e farsi bello in tivù, ma per imporre le «ragioni della Ragione» sull'egoismo e la meschinità dei potenti, bravi solo a farsi gli affari propri e a difendere i privile­gi della casta cui apparten­gono. Anche adesso, vecchio e malandato, Marco sfida la morte per dire al Palazzo che se un Paese basa il pro­prio ordinamento giudizia­rio sulle condanne alla de­tenzione, bisogna almeno che si doti delle strutture ne­cessarie affinché tali con­danne siano scontate in luo­ghi idonei. L'Italia non è all' altezza, per mancanza di mezzi, di costruire nuovi pe­nitenziari? Si rassegni a tro­vare pene alternative.

E a de­penalizzare certi reati. Infine l'amnistia non è una bestemmia. Se ne discu­ta con serietà come si faceva un tempo.

E si rammenti che, a differenza dell'indul­to, cancella il reato e quindi anche il processo, non sola­mente la sanzione, e pertan­to la sua applicazione contri­buirebbe a sollevare i tribu­nali dal lavoro che non rie­scono a svolgere. Azzerare e ripartire da capo. Forza Pannella. E che qual­cuno gli dia retta. So che que­sto articolo è impopolare. Mi auguro però serva a smuovere dall'indifferenza i signori del Parlamento.

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