«Vada a farsi fottere lei è un bugiardo e un mascalzone». Il Massimo del Pd non è poi la persona così tranquilla e pacata che vuol fare intendere. Basta parlargli di case. Basta ricordargli che lui non si poneva troppe domande, quando abitava la casa di un ente previdenziale, quando pagava una affitto irrisorio, magari inferiore di un terzo di quello pagato, con mille sacrifici, da un operaio del suo partito. Glielo ha ricordato o almeno ha civilmente cercato di farlo ieri sera a Ballarò il condirettore del Giornale, Alessandro Sallusti. Ma lui D’Alema non ha gradito. Ha perso subito le staffe appena Sallusti gli ha ricordato la famosa inchiesta Affittopoli, avviata a suo tempo dal nostro quotidiano guidato, allora come oggi, da Feltri. Si è messo a sbraitare, ha dato del «venduto» al nostro condirettore, è salito di tono con la voce per tentare, invano, di sovrastarlo. Di cancellare il contraddittorio. Ma soprattutto, per cercare, altrettanto vanamente, di cancellare dalla memoria degli italiani quel suo strano contratto d’affitto a prezzi stracciati.
«Io capisco che la pagano per venire qui a fare il difensore d’ufficio del governo» ha tuonato ostentando indignazione. Per poi imballarsi con la voce e con le idee, appena Sallusti gli ha ricordato che, sempre per parlare di case e di contratti che era poi il tema principale della puntata di ieri, «le dimissioni del ministro Scaiola in verità le ha chieste il Giornale e non il Pd». Macchè. Oramai il velista d’antan è come frastornato da una bella scuffiata e sta andando controvento, senza nemmeno rendersi conto di ciò che dice delle parole velenose e assurde che gli escono dalla bocca. «Le manderanno qualche signorina per ringraziarla del suo lavoro» dice a Sallusti e aggiunge «lei è un bugiardo un provocatore. «Le signorine le usano i suoi amici in Puglia per corrompere» ribatte il condirettore del Giornale.
Nel crescente battibecco, con le voci dei due protagonisti che si accavallavano, D’Alema ha proseguito: «Quando uscì la questione che i politici non potevano restare, e io non pagavo con i soldi che mi dava uno speculatore amico mio, io la lasciai. Io ebbi gratuitamente la sensibilità di lasciare la casa». Sallusti ha però rintuzzato: «Anche Scajola ha lasciato il suo posto senza essere indagato». A questo punto D’Alema ha ulteriormente alzato il tono della voce: «Lei si guadagna lo stipendio dicendo mascalzonate». A questo punto, vista l’impossibilità di ricondurre alla ragione il D’Alema imbufalito e sorpreso egli stesso da una simile reazione Giovanni Floris ha sfumato l’audio dei loro microfoni e ha mandato in onda un servizio.
Il Massimo dello Sguaiato, così ha finalmente dovuto arrendersi all’evidenza di una figuraccia inqualificabile. Come l’ultimo dei tronisti. Come il naufrago inviperito di un’improbabile isola dei famosi della politica. Davvero una pessima performance per il tanto compassato velista abituato a navigare affrontando ben altre tempeste.
E meno male che D'Alema era partito pacato rassicurando il pubblico in apertura di trasmissione. «Non siamo qui a celebrare processi» dichiara in apertura del «processo» televisivo a Scajola, ministro dimissionario, nell’aula di Ballarò, giudice unico Giovanni Floris. Anche se poi, preconizzando eventi nefasti aveva avvertito: «Dobbiamo stare attenti perché la politica ha subìto un collasso agli inizi degli anni ’90, perché era diventata un intreccio con gli affari e qui si ravvedono gli stessi sintomi». Avrebbe dovuto fermarsi qui D’Alema. Tanto più che aveva trovato un insolito alleato in Fabio Granata nella serata d’ordinaria polemica.
Sorprendente davvero l'autorevole esponente del Pdl, che, per inciso, meglio ricordarlo, è anche l’uomo di fiducia di Gianfranco Fini. Sorprendente al punto da dichiarare, a conclusione di un ragionamento teso a dimostrare che la questione morale, che sta coinvolgendo la politica è «trasversale» e come tale va affrontata al più presto, si affretta anche a esprimere la sua sentenza di condanna in una battuta: «Scajola non mi ha convinto».
Naturalmente da Scajola a Berlusconi il passo anche ieri sera è stato inevitabilmente breve e l’opportunità talmente intrigante da non venir
presa al volo da alcuni degli ospiti in studio. E'stata ancora D'Alema ad approfittarne : «i processi sono mediatici perchè la giustizia non è in grado di celebrare i processi, magari i processi a Berlusconi». Originale, no?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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