Roma - Chi lo conosce da tempo giura che Silvio Berlusconi non ne voglia neanche sentir parlare. Tanto che nonostante l’ipotesi di un governo tecnico continui da giorni a rimbalzare dai capannelli di Montecitorio fin sui giornali pare che la questione il premier l’abbia affrontata davvero solo ieri mattina. E peraltro in maniera piuttosto sbrigativa visto che nella testa del Cavaliere non esistono alternative possibili a quella di continuare a governare fino al 2013. Anzi, ad essere precisi un’alternativa c’è: tornare alle urne. Un concetto che in serata ha ribadito in chiaro alla festa di Atreju.
Eppure non c’è giorno in cui questo o quello rilanci la via dell’esecutivo di transizione, declinato- ovviamente- a seconda delle sfumature e degli obiettivi. Con un deciso cambio di passo nelle ultime due settimane, segnate da una sterzata dell’ establishment finanziario-editoriale che all’appuntamento del workshop Ambrosetti è sceso ufficialmente in campo. A Cernobbio non si parlava dall’altro - in nome della «credibilità» del «bene» del Paese - e più d’uno ha deciso di metterci la faccia (con il Corriere della Sera a far da vetrina). Prima Montezemolo, poi Passera e Profumo. Ieri anche la Marcegaglia che chiede al governo di «agire o trarre le conseguenze». Affondo un po’ fuori sincrono considerando che mentre l’Ue promuove (seppure con qualche riserva) la manovra del governo ci si mette il presidente di Confindustria a menar giù duro.
Ma, per dirla con le parole di un ministro vicino al Cavaliere, «ormai tutto quel mondo che fa parte del club di Cernobbio ha deciso che bisogna cambiare pagina». Ed è questo che comincia a preoccupare seriamente la maggioranza. Anche perché negli ultimi giorni sembra che certe spinte arrivino anche dall’estero. Non solo l’Ue o la Bce, ma anche alcuni partner di peso iniziano infatti a temere che la debolezza del governo italiano potrebbe mettere a rischio l’euro. Se salta l’Italia, infatti, salta anche la moneta unica. E a certificare quanto sia alto il livello di tensione ieri sono arrivate le dimissioni di Juergen Stark, il membro tedesco della Banca centrale contrario all’acquisto dei bond. Fatte filtrare a mercati ancora aperti con conseguenze pesantissime sulle borse e su Piazza Affari in particolare. A tutto ciò si aggiungono le pressione delle opposizioni. Comprese quelle di un Udc che fa sponda con le gerarchie vaticane (una buona parte della Cei) e con la Cisl di Bonanni.
Al punto che Casini nelle sue conversazioni private non nasconde di essere pronto a tornare nel centrodestra appena Berlusconi avrà ceduto la mano. Di qui la proposta del cosiddetto «salvacondotto» lanciata giovedì da Buttiglione dalle colonne di Avvenire , il quotidiano dei vescovi. Una via difficilmente percorribile, soprattutto davanti ai riflettori dei media. Se della questione è magari capitato che Confalonieri ne abbia parlato con Fini piuttosto che con Casini, quando Bocchino la rilancia nuovamente sulle agenzie di stampa non fa che bruciarla definitivamente. Tutti ragionamenti, questi, che non tengono conto di quanto il Cavaliere su questo fronte continui a non sentirci. Il movimento è comunque imponente. Che ha smosso le acque anche all’interno del Pdl dove sono in molti a ipotizzare una sorta di soluzione intermedia: un passo indietro del Cavaliere per un nuovo governo sostenuto dalla stessa maggioranza.
Un passaggio di consegne, dunque, a favore di Schifani o di Alfano. Una soluzione che off the record s ormai appoggiano in molti nel Pdl (soprattutto i cattolici e i più vicini al segretario pidiellino).
In questo modo, infatti, Berlusconi darebbe il via alla transizione e si tirerebbe fuori anche dalla stretta giudiziaria che, lasciando la poltrona di Palazzo Chigi, si farebbe inevitabilmente meno stringente. Se ne parla nei conciliaboli alla Camera e nelle telefonate tra ministri e big del Pdl. Anche se per il Cavaliere la questione non è all’ordine del giorno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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