A Guido Morselli, uno degli autori più misteriosi, ignorati, poi riscoperti e infine iper-valutati del nostro secondo Novecento, manca sempre un pezzo. In vita, letterariamente, gli mancò tutto: come è noto pubblicò a stento un paio di saggi critici, nulla di narrativa. Dopo il suo suicidio, nel 1973, seguì il diluvio postumo: uscirono tutti i suoi romanzi, ben otto, tutti da Adelphi, da Roma senza papa (1974) a Incontro col comunista (1980) fino a Uomini e amori (1998). Ma mancavano i racconti. Che pubblicò, nel 1999, la Nuova Editrice Magenta di Dino Azzalin. A quel punto, però, mancavano le lettere. Che ritrovò e raccolse Linda Terziroli, sempre per la Nuova Editrice Magenta, nel 2009. A quel punto, mancava ancora tutto il teatro (e anche le sceneggiature cinematografiche, per la verità...).
Bene, eccolo. Staccate il biglietto e sedetevi comodi. Oggi va in scena una pièce di Guido Morselli. Titolo: Marx, rottura verso l'uomo, commedia ambientata nei tempi difficili della giovinezza londinese di Marx, accanto a Engels e visitato dai compagni-fantasmi Mazzini e Bakùnin... C'è un personaggio storico capitale (Morselli nel 1968 aveva proposto ad Adelphi, Garzanti e Laterza una collana dedicata a biografie di grandi della Storia...). C'è una scrittura meta-teatrale (l'opera mette in scena una compagnia teatrale che sta allestendo uno spettacolo su Marx...). C'è il tema del comunismo (nel 1965 Italo Calvino rifiutò la pubblicazione presso Einaudi del romanzo di Morselli Il comunista).
E c'è, soprattutto, la sofisticata ironia dissacrante di Morselli, il quale demitizza col savoir-faire dell'intelligenza e l'eleganza della scrittura un'icona del pensiero occidentale come Karl Marx, un uomo che sul palcoscenico della sua fantasia si muove impacciato e imborghesito, in vestaglia da camera e pantofole. Lo scrittore per la stesura di Marx, rottura verso l'uomo - siamo nell'anno fatidico 1968 - inizialmente aveva scelto il titolo ancor più tranchant (e forse anche più bello) Marx, l'uomo demistificato, e per sottrarre il filosofo tedesco all'agiografia di cui aveva goduto fino ad allora, studiò a fondo il carteggio tra Marx e Engels, da cui emerge la grigia banalità del quotidiano e le insulse piccolezze del carattere (e magari qualche pettegolezzo sui tradimenti, le amanti, i figli illegittimi...).
Morselli - che era stato allievo del filosofo Antonio Banfi e che bene aveva letto L'opera da tre soldi di Bertolt Brecht - mette in scena Karl Marx sottraendolo a qualsiasi possibile celebrazione, ponendolo in una dimensione umana, ridimensionata. Un particolare, fra i tanti misconosciuti, della vita di Morselli: per la sua commedia (che fu spedita il 26 aprile 1968 a Tino Buazzelli alla Rai e all'inizio del 1970 a Paolo Grassi, al Piccolo Teatro di Milano) lo scrittore avrebbe voluto avere Vittorio Gassman, l'attore giusto - secondo lui - per vestire i panni della figura altissima, umanizzata e smitizzata di Karl Marx. «Caro Gassman - gli scrisse in una lettera del 27 marzo 1969 - Lei ritiene teatrabile la figura di Carlo Marx? E, prima di tutto, crede possibile sottrarla all'agiografia?». Gassman rispose laconico, ritraendosi con cortesia: «Egregio Dottor Morselli, ho ricevuto la Sua lettera e La ringrazio della fiducia. Il tema da Lei toccato è certo ambizioso e difficile, comunque impossibile giudicare a priori un dramma senza leggerlo...». E non se ne fece nulla. Come per tutti gli altri testi di Morselli, l'autore postumo più grande della nostra letteratura.
«Morselli lavorò a diverse opere teatrali, negli anni Cinquanta, con grandi personaggi storici come protagonisti - fa notare Fabio Pierangeli, docente di Letteratura italiana all'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, massimo studioso del Morselli drammaturgo -. Scrisse un testo su Cesare, Cesare e i pirati, e un altro, del '56, poco più che un soggetto, Cose d'Italia, su Mussolini, dove il Duce cade miseramente dopo aver osato eliminare il totocalcio e le case di tolleranza, con divertenti brani sarcastici sui vizi degli italiani... Comunque tutte le volte che mette in scena un personaggio storico, Morselli vuole entrare in intimità con lui. E così con Marx: lo guarda più da uomo che da ideologo, lo segue nella vita di tutti i giorni, gli mette le pantofole... Il suo è un Marx tradito da Engels, come Gesù da San Paolo: quando a un ideale segue la prassi, i compromessi sono inevitabili». Nessuna empatia tra lo scrittore Morselli e il filosofo Marx. Semmai ironia. Anche se a uscirne peggio non è neppure l'autore del Capitale. Ma i suoi «discepoli», i marxisti duri&puri, come il regista e i suoi assistenti che allestiscono la pièce dentro la pièce di Morselli: ortodossi fino alla macchietta, ideologizzati fino al fanatismo. Il bersaglio perfetto, per l'impolitico Guido.
Impolitico, postumo, inedito. Manca sempre un pezzo a Guido Morselli. La commedia Marx, rottura verso l'uomo sarà messo in scena, per la prima volta in assoluto, tra pochi giorni, domenica 9 aprile, nella sua Varese (lo scrittore nacque a Bologna, ma visse a lungo e si suicidò a Varese) grazie alla Scuola di Teatro «Anna Bonomi». I fan sono avvisati. Per il resto c'è da chiedersi come mai di un autore oggi così mitizzato - lui sì - come Morselli, rimanga impubblicata l'opera teatrale (qualcosa è apparso su bollettini e riviste ultra specializzate, niente di più). La casa editrice Adelphi, che ha una sorta di prelazione sull'opera morselliana, da tempo tergiversa. «Morselli è stato un grande eclettico, che ha toccato tutte le forme possibili della scrittura: ha iniziato coi reportage giornalistici, poi è passato alla saggistica, poi ha voluto misurarsi con la narrativa, romanzi e racconti, quindi col teatro... - ricorda Valentina Fortichiari, una delle massime studiose dello scrittore -.
Fu multiforme e versatile, ma non con uguale qualità: credo che i testi teatrali siano i più deboli tra la produzione di Morselli. Non sono stati rivisti, manca l'approvazione finale. Poi, certo, sono contenta che si recuperino. Sono curiosa di vedere il suo Marx...». Per leggerlo, c'è tempo.A Morselli manca sempre un pezzo.
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