1984. Durante i funerali di Berlinguer, il 18enne Giovanni (l'incolpevole Neri Marcorè) prende una botta in testa e va in coma. Si risveglia, 31 anni dopo, dovendo confrontarsi con un mondo profondamente cambiato. In pratica, sembra la risposta italiana del geniale Good Bye Lenin!. Invece, è la trama di Quando, l'ultimo (purtroppo, solo in ordine di tempo) film diretto da Walter Veltroni, da giovedì nelle sale. Anzi, «un film di» Walter Veltroni, come specifica nei titoli di testa e non sappiamo se lo abbia fatto per pudore il non citare il classico «regia di». Perché, passano gli anni, ma i difetti nelle fiction di Uolter, dietro la macchina da presa (a differenza dei suoi bei doc), sono ancora tutti lì. Dissolvenze da primo giorno di scuola di cinema, montaggio che neanche all'epoca del cinema muto, inserimento a caso delle musiche di sottofondo. È come se il suo modo di girare fosse rimasto legato a tecniche di oltre 30 anni fa, un po' come i ricordi di Giovanni. Almeno, si tratta di un film tratto dalla sua «opera letteraria» omonima, come modestamente specifica nei titoli di coda. Un banale «Tratto dal libro» gli sembrava, evidentemente, poco radical chic. Una noia colossale che manda in coma, lui sì, il povero spettatore, infarcita di sermoni su tutto. Non manca la frecciatina sul Berlusconi, Presidente del Consiglio: «Era meglio se non mi svegliavo».
Quando andate in una trattoria romana, cosa vi aspettate di sentir cantare dalla gente? Roma nun fa' la stupida stasera? Sbagliate. In quelle immortalate da «un film di» si canta, all'unisono, Bella Ciao. Quanto al Comunismo, c'è la sentenza nostalgica: «L'ideologia era sbagliata, gli ideali no».
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