Che pittore teatrale quello Pseudo Caroselli

Figura enigmatica, forse da identificare con un allievo di Caroselli (o col figlio), è un artista affascinato da femmine-maghe, lascive e sinistre...

di Vittorio SgarbiLa riapparizione di due capolavori come la Morte di Cleopatra e Giuditta e Oloferne, ci consente di tornare sulla questione della complessa personalità di Angelo Caroselli e del suo doppio, denominato Pseudo Caroselli. In Angelo è immediatamente evidente la suggestione di Caravaggio, in una specializzazione dei temi di genere interpretati in chiave allegorica. A questa prima personalità vanno riferite opere che concordano, formalmente, con la Vanitas della Fondazione Longhi. In questo gruppo può essere accolta l'ultima, in ordine di tempo, da me riconosciuta, in Sicilia, dove pure è documentata la presenza del Caroselli. Si tratta di un olio su tavola di 29 x 39 centimetri ed è registrato nel cartellino e in una riproduzione provvidenzialmente tradotta in cartolina come «Anonimo pittore olandese della prima metà del XVII sec., Melanconia». È invece un'opera inequivocabile di Angelo Caroselli anche nella variante, interna al suo corpus, dello Pseudo Caroselli, e il soggetto è, in tutta evidenza, una Vanitas. La donna, con un copricapo di velluto rosso, con una borchia d'oro, inclina lo sguardo su un teschio che svela, sul quale poggia un libro aperto con la scritta: «Quam amara memoria tua». La mano destra indica il libro. Indiscutibile riflessione sulla morte, vanitas o memento mori; ma anche, possibilmente, richiamo a una persona amata: il padre o il marito.Da ogni punto di vista, rispetto all'irridente Ignoto di Antonello, l'espressione della donna manifesta un sentimento opposto. Di riflessione e di nostalgia, e non di arguzia, malizia, ironia. Il pensiero della morte non attraversa la mente del personaggio di Antonello. Tutto alla morte allude, compresa l'ombra caravaggesca che le taglia il volto, nella Vanitas del Caroselli.La figura femminile con il turbante esprime, infatti, come la denominazione tradizionale non mancava di rilevare, una condizione di malinconia. La coincidenza del ritrovamento con la presentazione di un mio libro dedicato ai volti femminili, consente di aggiungere, a quella collana di donne esemplari, la perla di una fin qui ignota «Piena di grazia», in condizioni di disgrazia.Ho voluto intendere questo stato in termini generali riconoscendo il soggetto in una Vanitas. È molto probabile invece che il dipinto, pur senza le caratteristiche di un ritratto, intenda illustrare nella donna con lo sguardo reclinato verso il teschio, con attitudine pietosa e dolente, una vedova, come sembrerebbe indicare, con riferimento alla memoria, la scritta sul libro. La donna sembra rivolgersi al marito perduto. Ed ecco allora, che per una serie di coincidenze imprevedibili, il dipinto è stato certamente messo in relazione diretta dal Mandralisca con il vivissimo e vitalissimo Ritratto di ignoto di Antonello.Allo Pseudo Caroselli, affine ma diverso, possiamo ora riferire un corpus ben riconoscibile, di cui uno dei numeri più significativi è la Morte di Cleopatra, in deposito a Palazzo Chigi di Ariccia. Volta a volta, lo Pseudo Caroselli, riconosciuto affine ma non coincidente con il Caroselli, fu identificato in un pittore fiammingo dalla Ottani Cavina, in un pittore nordico da Luigi Salerno o, per una parte delle opere che vi sono attribuite, in un figlio del Caroselli, Carlo, secondo Marta Rossetti. Quest'ultima, osservando la difformità delle opere riunite nel corpus dello Pseudo Caroselli, ipotizza che esso debba essere disarticolato in più mani, caratterizzate dal «piccolo formato, dall'uso del colore rilevato e da insolite iconografie ove protagoniste sono spesso figure femminili dai tratti lascivi e sinistri, al limite tra il tipo della cortigiana e quello della maga».La Morte di Cleopatra appartiene certamente al gruppo più significativo, insieme alla coppia di tele con Circe del Museo di arte medievale di Arezzo, alla Vanitas con allusioni magiche pubblicata dal Salerno, alla Maga, alla Negromante, alla Coppia, al Bacco e Arianna già nella Collezione Appleby a Bailiwick of Jersey, al Ritratto femminile di collezione Boem, alla Donna che canta già nella Collezione Brungs, alla Giuditta e Oloferne.Ed è certamente degna di attenzione la conclusione della Rossetti sul collegamento fra pittura e oreficeria, con una proposta di identificazione del pittore: «Inoltre, in tali opere, l'uso del colore rilevato (spesso l'oro) e i numerosi rimandi all'oreficeria nederlandese (ma anche iberica, in quanto influenzata dalla prima; molti orafi francesi e nederlandesi lavorano, poi, a Firenze per Francesco I de' Medici), in alcuni casi effettivamente citata, possono agganciarsi al fatto che il pittore Balthasar Lauwers, suocero anversese di Angelo Caroselli (nonché probabile maestro del lorenese François de Nomé), sposa già prima del 1603 Elena, figlia dell'orefice e gioielliere parigino Henri Cousin (n. 1554), italianizzato Cugini, appartenente ad una delle più importanti famiglie di orefici della corporazione parigina, che possiede una bottega a Roma». A questa personalità inafferrabile va riferita la Morte di Cleopatra e la Giuditta e Oloferne. Appare evidente, in una delle due sconvolte cortigiane di Cleopatra, il collegamento con la Vanitas del Museo Mandralisca, ma alla stereotipata espressione di dolore, rispetto alla umana malinconia illustrata come stato d'animo dal Caroselli, si sovrappone un compiacimento per la decorazione, per l'ornamento degli abiti e i copricapi, accentuando il gusto per i dettagli. La sensazione è che lo Pseudo Caroselli sia muova nell'ambiente del teatro, mettendo in scena episodi storici o mitologici.La Morte di Cleopatra è uno spettacolo rappresentato su un palcoscenico, minuziosamente descritto nel pavimento di legno dipinto a lacunari di finto marmo. I gesti enfatici recitati, la parlante eloquenza delle mani, le espressioni forzate, urlanti, sono interpretati, se non cantati come è proprio del melodramma. Ma sono estranei e lontanissimi dalla fonte caravaggesca, dal realismo in presa diretta che aveva consentito, per esempio, ad Artemisia Gentileschi, di concepire una Morte di Cleopatra d'insolente corporeità e di drammatico realismo.Il corpus riconducibile allo Pseudo Caroselli, sebbene di qualità discontinua, si compone di circa venticinque dipinti, senza tener conto di quelli non registrati, transitati sul mercato antiquario. Rimane indubbia la matrice caroselliana di tale produzione, in termini sia iconografici sia formali. Il Passeri attesta la predilezione del Caroselli per dipinti in «tela da testa» a sfondo ritrattistico, benché «in cose picciole, e nelle mezze figure prevalse più ch' in altra cosa...». Gli antichi inventari confermano la scelta di soggetti affini a quelli riconducibili al suo anonimo imitatore.L'origine di questa pittura è riconducibile a una tradizione culturale olandese o fiamminga, fortemente realistica, ben distante dall'idealizzazione della scuola italiana. L'artista poteva avere certamente rapporti con la «Bent» (Houbraken), la cosiddetta Nederlandsche Schildersbent, cioè la «Banda dei pittori neerlandesi», «una vera e propria compagnia artistica che accoglieva la rigogliosa colonia di pittori, scultori, incisori e decoratori, provenienti dai Paesi Bassi e dalle Fiandre. Come ricorda Hoogewerff, i membri, tutti ragazzi tra i venti e i venticinque anni, erano chiamati bentveughels, cioè uccelli della banda, a costituire una solidarietà professionale e collegiale fra i soci. La colonia viveva nella zona attorno a piazza di Spagna, tra via Margutta, la Strada Felice (via Sistina) e la via Paolina (via del Babuino). Frequenti erano le scampagnate, le ubriacature nelle osterie romane e le feste fino all'alba presso il Mausoleo di Santa Costanza, noto come Sepolcro di Bacco. La Schildersbent nasceva in contrapposizione all'Accademia di San Luca, e per il rifiuto della pratica accademica e per l'atteggiamento anticlassico.

Era costituita da artisti che, sulla scia del caravaggismo, praticavano il naturalismo, con una propensione alla specializzazione e alla pittura di genere; era in pratica una controversia fra due principi artistici contrastanti, il naturalismo e il realismo, che nel 1633 era culminata nella causa contro l'Accademia di San Luca, quando la congrega di artisti nordici si rifiutò di pagare la tassa annua a suo favore stabilita da un Breve di Urbano VIII».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica