Chi ha ammazzato la cultura italiana? È stata un'abbuffata di ironia saccente

Un "dizionario" consente di ripercorrere, parola per parola, il genio di Alberto Arbasino e la sua "sprezzatura". Il confronto con il presente rivela quanto abbiamo perso in profondità e arguzia

Chi ha ammazzato la cultura italiana? È stata un'abbuffata di ironia saccente

Nel divertente dizionario Arbasino A-Z (a cura di Andrea Cortellessa, Electa, pagg. 328, euro 35) manca la voce Sprezzatura, anche se la parola affiora in più d'una definizione. Fu Baldassarre Castiglione, nel Cinquecento, a teorizzare il comportamento del perfetto cortigiano: equilibrio, controllo di sé, distacco da persone e cose. In una parola sola, appunto, sprezzatura, che non è quasi mai una dote naturale ma il frutto di un attento studio. Il distacco, ad esempio, si matura con lo strumento dell'ironia, abbassando le cose alte e innalzando quelle basse. Beninteso: non annulla le differenze ma simula una uguaglianza implausibile, e quindi esilarante, per l'uomo di mondo.

Alberto Arbasino da Voghera, provincia di Pavia, grande scrittore e raffinato lettore, è stato un maestro della sprezzatura, che applicava in ogni manifestazione pubblica della sua vita. Nelle voci del dizionario compilato da autori come Raffaele Manica e altri esperti, vediamo Arbasino andare a caccia delle frasi fatte e dei luoghi comuni per utilizzarli con supremo sarcasmo; Arbasino comporre trucidi rap per trattare temi civili; Arbasino fare una critica serrata all'opera lirica e alla letteratura, sottolineando le ridicolaggini dell'avanguardia senza idee o la natura ormai zombi di troppi settori della cultura italiana. Lui, un provinciale, vede bene quanto sia provinciale l'Italia. Lui, grande narratore, avverte subito quanto sia fiacco il romanzo contemporaneo, o lo smonti e ne tieni le parti essenziali o lo fai esplodere in un torrente in piena come il suo Fratelli d'Italia. Lui, uomo coltissimo, si fa delle sincere risate davanti ai semi-colti, agli analfabeti di ritorno, ai finti sapienti, ai saccenti di turno. Lui, al fondo serissimo, non ammette la serietà pensosa inflitta ad amici e commensali dagli uomini senza sprezzatura. Bisogna essere leggeri con serietà; e seri con leggerezza. L'ironia poi deve essere coniugata con la bêtise, parola francese intraducibile che indica qualcosa di più sottile della normale stupidità, il testo di riferimento è l'esilarante Bouvard e Pécuchet di Gustave Flaubert. L'ironia si esprime, in campo letterario, in mille modi. Ne citiamo un paio: la parodia e il pastiche.

Arbasino, come si capisce perfettamente sfogliando il Dizionario, è l'ultimo rappresentante di una stagione eccezionale della cultura italiana. Roberto Longhi insegnava la critica d'arte, creando una piccola ma significativa scuola. Il suo allievo Francesco Arcangeli scriveva monografie come quella dedicata a Giorgio Morandi, criticatissima dal pittore stesso. Negli studi letterari c'erano ancora o era ancora vivo il ricordo di Contini, Domenico De Robertis, Pasquali, Segre, Roncaglia, Barbi, Caretti, Petrocchi, Rajna. Le riviste erano autorevoli e palestre per ogni sperimentalismo. Arbasino poteva confrontarsi con Carlo Emilio Gadda ma anche con Pier Paolo Pasolini. Il senso della gerarchia era ben sviluppato in Arbasino e nella sua generazione: si distinguevano senza difficoltà i poeti dai poetastri.

Per questo, l'ironia di Arbasino era sì corrosiva ma anche, in modo indiretto, costruttiva. Si può scherzare su tutto. Però uno non vale uno, come si evince dalle biblioteche di questi ultimi rappresentanti della grandezza italiana (per lo studio di Arbasino, fate un salto al Gabinetto Vieusseux di Firenze; per la libreria di Pasolini, di otto anni più vecchio di Arbasino, consultate il regesto compilato da Grazia Chiarcossi e Franco Zabagli).

Bene. Ora pensate all'ironia corrosiva di Arbasino. Un'arma temibile. Ma cosa accadrebbe se finisse nelle mani di un intellettuale senza la cultura di un Arbasino? Finirebbe che ci troveremmo proprio dove siamo, in un Paesaggio italiano con macerie, per parafrasare il titolo di un famoso saggio di Arbasino dedicato al declino italiano.

L'ironia, usata male, tende a mettere tutto sullo stesso piano ma sul serio. L'alto è uguale al basso, il colto al pop, il raffinato al triviale. È un liberi tutti. Si può andare a capo in un punto qualsiasi e aver ragliato (pardon: scritto) una poesia. Si può trascinare nella polvere un artista impeccabile come Giorgio Bassani. È stato fatto dalle Avanguardie, alle quali anche Arbasino si avvicinò per poi prendere le distanze a passi lunghi e ben distesi. Bassani: romanziere strepitoso; poeta eccellente; intenditore d'arte; allievo di Roberto Longhi; collaboratore, al cinema, di Pasolini e Soldati, cito due tra i molti possibili; intellettuale impegnato nella tutela del patrimonio culturale. Un gigante sgambettato dai nani.

Per questo, specie alla televisione, ma anche sui giornali, capita di imbattersi in esercizi di ironia senza capo né coda, cioè senza la cultura necessaria per scherzare sul serio; e senza un avversario che sia degno di essere preso in giro.

Questo esercizio di scetticismo ha l'effetto del napalm, se non affonda le radici in una solida istruzione, che non abbiamo più anche per colpa di scellerate riforme

della scuola. Così nasce la confusione dei nostri tempi.

Per fortuna ci sono eccezioni. Una, senz'altro, è questo Arbasino A-Z, colto e divertente, nonché di bellissima lettura: aprite a caso e cominciate. Sarete catturati.

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