Moser, Fignon e il Giro d'Italia delle polemiche

Nel 1984 si disputò una 67esima edizione sconsigliata ai cardiopatici: l'italiano e il transalpino duellarono fino all'ultima tappa, ma Francesco fu accusato di favoritismi

Moser, Fignon e il Giro d'Italia delle polemiche
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Scalano le marce superandosi a vicenda una quantità indecifrabile di volte. Lo sceriffo preme. Il professore risponde. Alle porte dell'estate 1984 - dentro al 67esimo Giro d'Italia - quella tra Francesco Moser e Laurent Fignon sembra tanto una questione personale. Del resto, se l'ottanta per cento del genere umano è composto d'acqua, loro no. In quelle vene sgorga ciclismo allo stato liquido. E ciascuno dei due coltiva la sana pretesa di essere migliore dell'altro.

Ci crede l'italiano, che nella crono di Lucca si è portato avanti di qualche spanna. Replica il francese, che lo riprende subito nella cronosquadre. Torna avanti Moser alla sesta tappa. Resiste il divulgatore di sapienza su due ruote che gli contende il titolo. Poi una svolta crepa l'impasse. Gli organizzatori cambiano idea in corsa, decidendo che non si passerà più dallo Stelvio. Troppa neve. Protesta vigorosamente Fignon contro la direzione della corsa, convinto che questa decisione sia stata costruita ad arte per avvantaggiare il suo avversario, che ha una caterva di pregi, ma certo in salita pare appannato.

Francesco fa spallucce, invitando a pensare alla gara. E pare decisamente lanciato verso la conquista del Giro, poiché a quattro tappe dalla conclusione ha piazzato i raggi davanti. Ma Fignon è un tipo ostinato. Per lui il ciclismo è un'equazione che deve produrre sempre un risultato esatto: la sua vittoria. La variabile che assesta è l'attacco sferrato sulle Dolomiti, nel corso della terz'ultima tappa. Di nuovo maglia rosa. Di volontà e potenza. Un piccolo percentile in più verso una possibile sofferta esultanza. Però Moser non è il genere di atleta che si lascia turbare nel profondo. Questa pur prevasiva rentrée non lo sconvolge. Incassa, medita e organizza un nuovo, decisivo affondo.

Scocca il 10 giugno 1984. Ultima tappa del Giro d'Italia. Qui hanno fine gli strapazzi muscolari. Qui termina la tenzone tra questi onnivori signori feudali della bici. La sfida definitiva è una crono di 42 km che sfocia dentro l'Arena di Verona. La situazione, cristallizzata alla partenza, racconta di un Fignon in testa e Moser secondo a 1'21''. L'italiano opta per una bici con ruote lenticolari. Ammicca molto a quella con cui ha stabilito, lo stesso anno, il record dell'ora a Città del Messico. Sul tragitto Francesco pare un missile terra - aria. Vibra verso il traguardo toccando una media di quasi 51 km all'ora. Il che significa infliggere 2 secondi e 24'' al francese. Vuol dire strappargli di nuovo la maglia rosa. Equivale a vincere il Giro.

Laurent non deglutisce affatto la sconfitta e accampa un'altra polemica, stavolta apparentemente sbilenca. Sostiene che Moser sia stato avvantaggiato dalla spinta dell'aria generata dalle pale dell'elicottero che lo seguiva a bassa quota, alle sue spalle.

Accuse che non sminuiscono l'impresa di Moser, finalmente trionfatore al giro dopo 11 dalla sua prima apparizione. Anzi, quell'interminabile duello tra fuoriclasse inscrive il Giro '84 nella casella dei più intensi di sempre.

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