Oppenheimer, così Nolan racconta l'uomo che ha cambiato la storia

Una pellicola carnale e avvolgente dove l'afflato epico dei cambiamenti storici va di pari passo con il ritratto intimo e preciso di un uomo che con le sue teorie scientifiche ha plasmato la realtà

Oppenheimer, così Nolan racconta l'uomo che ha cambiato la storia

C'è un momento, prima delle dimostrazioni matematiche e delle prove empiriche, in cui la scienza sembra appartenere alla stessa sfera della magia, quella in cui qualcuno riesce a intravedere per primo qualcosa che per gli altri non esistenza ancora. Oppenheimer, il nuovo e attesissimo film di Christopher Nolan, parte proprio da qui, dal momento che precede i calcoli e le scoperte, quando non c'è altro che un uomo che guarda il soffitto e vede particelle di universo.

La storai di Oppenheimer

Dopo il deludente Tenet, Nolan torna sul grande schermo con una pellicola che sulla carta dovrebbe essere un "semplice" film biografico, incentrato su una figura chiave del Novecento, quelJ. Robert Oppenheimer che con i suoi studi di fisica quantistica e il progetto Manhattan ha portato alla costruzione della bomba atomica. Ed è proprio a un ordiglio che il film somiglia. Come spesso accade nella filmografia del regista, Christopher Nolan racconta la storia costruendola su piani temporali diversi che non dipana in ordine cronologico, ma intreccia in modo che lo spettatore si senta avvinto e confuso al tempo stesso. Un puzzle narrativo che serve anche ad accumulare tensione, proprio come potrebbe avvenire con un ordigno esplosivo, costretto a raccogliere energia prima di liberarla. Ed è così che funziona il film. Nella prima parte, infatti, la macchina da presa insegue Oppenheimer (un maestoso Cillian Murphy, già in odore di nomination all'Oscar) mentre si afferma come scienziato, lasciandosi guidare dalla passione per una materia pressoché sconosciuta nell'America di fine anni Trenta, sotto la guida e l'amicizia di Ernest Lawrence (Josh Hartnett). In questa prima parte, Oppenheimer è un intreccio quasi febbrile di piani temporali e di personaggi, che sfilano in modo volutamente ravvicinato intorno al palcoscenico creato dalla figura di Oppenheimer, una sorta di "pifferaio magico" della fisica quantistica.

In questa prima parte, è come se Nolan volesse caricare il pubblico, quasi sopraffarlo per prepararlo al rilascio dell'energia, a quell'esplosione narrativa che non riguarda tanto la bomba atomica, ma le conseguenze che essa ha avuto sul personaggio. Ed è a questo punto che esplode "l'ordigno narrativo". Tutta la tensione accumulata nella prima parte viene rilasciata nel momento in cui gli "eroi" di Los Alamos e del Progetto Manhattan festeggiano per la riuscita della loro scoperta scientifica, mentre Oppenheimer inciampa sul risveglio della sua coscienza. Da questo punto di vista, dunque, si può affermare che Oppenheimer sia il film più ambizioso ma anche il più intimo che Christopher Nolan abbia realizzato nella sua carriera e forse non è un caso che proprio Oppenheimer sia anche la prima pellicola in cui il regista si mette alla prova con scene di sesso, che non hanno l'ambizione a raccontare qualcosa di sensuale, ma a mettere ancora di più in evidenza l'intimità del protagonista, il vero punto centrale dell'intero racconto.

Il mito di un uomo trasformato in eroe tragico

Oppenheimer è davvero il film sull'uomo che ha inventato la bomba, ma il punto è proprio questo: è un film sull'uomo, non sullo scienziato. Per aprire la sua pellicola, Christopher Nolan decide di utilizzare il mito di Prometeo, che rubò il fuoco agli dei per consegnarlo nelle mani impreparate di un'umanità forse troppo avida di potere. Lo stesso mito, in letteratura, è stato utilizzato da Mary Shelley per la sua opera più famosa. E come in Frankenstein, dove la creatura diventa più nota dello scienziato che dà il titolo al romanzo, anche la storia di Oppenheimer segue lo stesso percorso: la sua creatura è diventata più famosa di lui. La bomba atomica ha rischiato di spazzare via anche l'umanità di chi l'ha resa possibile. Ed è per questo che Nolan ribalta questa chiave di lettura: la bomba atomica rimane sullo sfondo, che brilla alle spalle dei personaggi, mentre la macchina da presa insiste sul volto sempre più scavato di Cillian Murphy, sui suoi occhi cerulei che si spalancano davanti alla consapevolezza delle proprie responsabilità nei confronti dell'umanità e della storia stessa. In questo modo Nolan dirige sia un film biografico, sia un film in cui può riflettere sulle tante contraddizioni degli Stati Uniti, quasi a suggerire che la vera arma di distruzione di massa non è l'atomica stessa, ma piuttosto le parole e le decisioni di quei pochi che sono contrapposti a molti, di quei politici che prendono decisioni che potrebbero causare ineluttabili conseguenze senza che il popolo ne abbia conoscenza. Nolan divide dunque il suo mondo diegetico in due grandi universi: quello degli scienziati, legato a Oppenheimer, e quello dei politici e degli intrighi, che è ben rappresentato dal personaggio di Robert Downey Jr, l'ammiraglio Lewis Strauss. E per sottolineare ancora di più l'inconciliabile rapporto tra scienza e politica, Nolan utilizza anche una spaccatura cromatica: da una parte il colore, dall'altra il bianco nero. Da una parte la soggettività dello scienziato che insegue l'impossibile, dall'altra l'obiettività asettica di politici e uomini d'affari che spesso non riescono a vedere più in là del proprio naso.

Maestoso negli effetti visivi tanto quanto riuscito a livello di costruzione della tensione e del racconto, Oppenheimer è anche una pellicola che riflette sul tempo che passa e su come esso non sia altro che una sorta di "antidoto" per la ferità più grave: quella della morale. Perché è questo che accade quando la magia diventa scienza: l'impossibile diventa reale e, in questo modo, diventa materia tangibile che si trasforma in ossessione e in responsabilità.

Tutte tematiche che Nolan affronta con il suo stile personale, mentre dirige la storia di un teorico che cercava risposte tra le stelle e si è trovato a guardare in faccia gli incubi generati dalle sue teorie e dalle decisioni che altri hanno preso al posto suo.

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