L’80° Mostra del Cinema di Venezia volge al termine. Stasera verranno decretati i vincitori dei diversi premi, a partire dal Leone d’Oro. In un’edizione segnata dalle assenze di attori e attrici famose a causa dello sciopero di Hollywood e quindi da red carpet sicuramente in tono minore, la qualità dei film è stata per fortuna rispettabile. Anche se oramai nel settore sembra dilagare una specie di regola non scritta per cui un’opera debba durare minimo due ore, il che in realtà in vari casi finisce col compromettere la narrazione, che diventa sfilacciata (un caso su tutti, le tre ore di “Lubo” di Giorgio Diritti).
Tiriamo le somme. I nomi che circolano in queste ore per il premio di miglior film sono “Poor things – Povere creature!” di Yorgos Lanthimos e “The Green Border” di Agnieszka Holland, che poi sono quelli che davvero lo meriterebbero.
In “Povere creature!” Yorgos Lanthimos, genio dell’assurdo, mette alla gogna quella che è la presunta civiltà e lo fa con incantevole raffinatezza e ironia. Il pensiero durante la visione va spesso al “Candide” di Voltaire. La selvaggia luminosità e l’audacia visiva del film ci ricordano quanto sia affascinante essere vivi. I numerosi sottotesti della narrazione muovono poi un’intera tavolozza di emozioni. “Povere creature!” è la storia di formazione sui generis di Bella, una giovane che è al contempo madre e figlia di se stessa, perché riportata in vita impiantandole il cervello del bambino che portava in grembo. All’inizio ha le movenze e le capacità cognitive di un neonato in un corpo da adulto, ma crescerà a velocità molto sostenuta. Questa creatura, che è senza filtri e condizionamenti, a un certo punto salpa verso l’avventura, assetata di conoscere il mondo. Assistiamo alla sua iniziazione sessuale e culturale, trasaliamo divertiti nell’osservare come sia un’anomalia nella “polite society” vittoriana e la invidiamo per la sua totale spontaneità e mancanza di vergogna. La ragazza mostra cosa significhi raggiungere la consapevolezza e conservare una sincerità a tratti inverosimile. La sua prospettiva sulle cose è travolgente; è una rivoluzionaria con il gusto della sperimentazione e che ritiene naturale possedere emancipazione e libertà. Con accecante magia in “Povere creature!” sfilano assieme innocenza e peccato, umano e divino, mostruosità e meraviglia. Un po’ Frankenstein, un po’ Rocky Horror Picture Show, ma soprattutto versione macabra e grottesca del “Barbie” di Greta Gerwig, "Povere creature!" è un film tra passato, presente e futuro. Bella è tutte le donne, di tutte le epoche.
Quanto invece a “Green Border” della polacca Holland, diciamo subito che negli ultimi dieci anni non sono mancati film che affrontino l’attuale crisi dei rifugiati in Europa. Eppure, senza dubbio, questo è quello che colpisce più a fondo, potente e necessario come è.
Siamo alla fine del 2021. Vediamo diversi profughi, provenienti da tutto il Medio Oriente e dall'Africa, raggiungere euforici la Polonia, convinti che le loro tribolazioni siano finite. Qui invece il calvario ha inizio. Vengono palleggiati di continuo tra le guardie polacche e quelle bielorusse, finendo per occupare una zona di esclusione, appunto il “confine verde”, una striscia di foresta tra Polonia e Bielorussia, un limbo senza fine da cui due gruppi di soldati impediscono di uscire. Nessuno vuole assumersi la responsabilità di occuparsi di loro, né da un lato né dall’altro. Solo un gruppo di attivisti offre cibo, bevande e primo soccorso in vari punti del confine. A loro si unirà Julia (interpretata magnificamente da Maja Ostaszewska, volontaria dell’associazione anche nella realtà). La donna è una psicoterapeuta di mezza età che rischia volentieri pur di arginare la brutalità in uniforme che toglie ai rifugiati la propria dignità di esseri umani.
Un film di urgente e pertinente attualità, girato in un bianco e nero nitido e dall’angolazione dei senza più patria. La profondità, il pathos e la critica mai manipolativa, rendono “Green Border” un’opera che resta in testa e nel cuore a lungo dopo il termine della visione. Un titolo potente che smuove la giusta indignazione per ciò che sta accadendo in Europa in questo momento.
Per quanto riguarda le Coppe Volpi per la migliore interpretazione sia maschile che femminile, l’augurio è che tra i numerosi candidati la spuntino lo straordinario Caleb Landry-Jones protagonista di “Dogman” e la generosa Emma Stone di “Poor Things”.
In un mondo ideale poi qualche premio andrebbe anche al monito futuristico di “La Bête -La bestia" di Bertrand Bonello e all'epopea classica di “Bastarden” di Nikolaj Arcel.
Staremo a vedere.
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