Train to Busan, ecco l'horror che tutti gli appassionati dovrebbero vedere

Train to Busan è un lungometraggio coreano che non solo ha avuto il merito di essere un film horror universale, ma anche di reinventare un genere specifico

Train to Busan, ecco l'horror che tutti gli appassionati dovrebbero vedere

Presentato in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma, Train to Busan è il film horror che va in onda questa sera alle 23.05 su Rai Movie. Si tratta di una pellicola, diretta da Shin Yeong Jang, che riscrive il genere legato all'epidemia zombie.

Train to Busan, la trama

Un gruppo di coreani è in viaggio su un treno che viaggia da Seoul a Busan: un tragitto di quattrocentocinquantratré chilometri che rappresenta una tratta piuttosto comune in Corea. Meno di cinquecento chilometri che si trasformano però in un vero e proprio incubo quando sul treno sale un personaggio che sembra affetto da una strana malattia. Sarà l'inizio di una terribile e violenta epopea e tutti i passeggeri dovranno affrontare decine e decine di infetti che, svestiti della loro umanità, si sono ormai trasformati in famelici zombie. Mentre fuori dal treno il governo coreano cerca di far fronte a quella che è una vera e propria epidemia che non lascia sopravvissuti, i passeggeri sul treno dovranno cercare di sopravvivere senza trasformarsi in Non Morti e, soprattutto, senza perdere quella scintilla di umanità che gli permette di non uccidere i propri simili.

Perché è un film che tutti dovrebbero vedere?

Poco prima che la cultura coreana spopolasse in incidente, con i vari k-drama, le canzoni k-pop o anche solo la vittoria di Parasite come miglior film agli Oscar, il cinema asiatico veniva percepito soprattutto come un cinema fatto di pellicole d'autore, film di nicchia che non avrebbero mai potuto incontrare il gusto roboante del cinema occidentale di stampo statunitense. Sensazione che veniva rafforzata anche dal fatto che molte pellicole di origine asiatica venissero presentati in kermesse come il Festival di Cannes, che da sempre affianca ai grandi prodotti hollywoodiani anche film meno conosciuti e più lenti e/o riflessivi. Anche Train to Busan è stato presentato nella cornice del festival cinematografico francese, prima di approdare nella sezione Tutti ne parlano della Festa del Cinema di Antonio Monda. E in effetti proprio la partecipazione alla sezione appena citata dimostra il primo grande merito della pellicola: Train to Busan non si è limitato a essere un prodotto della settima arte buono solo per una conversazione tra esperti del settore. Al contrario, è diventato un film cult quasi immediatamente, capace di scavalcare i confini della propria produzione, per diventare una pellicola che fosse in grado di reinventare il genere horror legato al mondo degli zombie, senza sminuire o intaccare la tradizione e, al tempo stesso, senza volerla riproporre pedissequamente.

Senza dubbio Train to Busan è una pellicola molto legata al suo paese d'origine: ogni elemento risponde ai canoni della cultura coreana. Il regista Shin-yeong Jang non ha voluto confezionare un film che scimmiottasse le pellicole di Hollywood. Non si è intestardito a cercare un'universalità di messa in scena e stile narrativo. Train to Busan parla di un gruppo di coreani che sopravvive mentre fuori la Corea del Sud stessa è a un passo dall'annientamento definitivo. Il regista non ha "svenduto" la propria cultura e senza servirsi di manierismi, di ricatti verso lo spettatore o di genuflessioni al cinema statunitense, ha creato un'opera che è riuscita comunque ad essere internazionale. Universale, se vogliamo. Di sicuro gli zombie che Train to Busan mette in gioco devono molto a quelli portati sul grande schermo da Danny Boyle nella saga di 28 giorni dopo, vista la velocità con cui attaccano che non ha nulla a che vedere con la tradizione di George Romero. Ma questa velocità è stata inserita all'interno di un luogo chiuso e circoscritto, un treno in velocità in cui ogni vagone si trasforma in un girone infernale da cui non tutti possono uscire sani e salvi. Il film è tutto costruito su questa tensione costante e crescente, sulla consapevolezza di non poter scappare da ciò che è già cominciato senza che nessuno se ne rendesse bene conto. Train to Busan è proprio questo: un continuo batticuore che ti fa sperare per la salvezza dei personaggi pur sapendo che le vie di fuga non esistono: rimanere sul treno vuol dire morire, scendere porterebbe allo stesso risultato. E come si può sopravvivere in un mondo senza speranza? Come si comporta l'istinto di sopravvivenza quando non c'è alcuna certezza o speranza di poterlo fare? In questo senso nel lungometraggio si insinua anche una riflessione contro il capitalismo, contro la corsa al profitto e alla performance che, specie in Corea del Sud, è un argomento molto delicato, che intacca anche la salute mentale di giovani studenti che sin dall'infanzia vengono condotti a pensare solo al successo, alla performance e al raggiungimento di obiettivi che sono sempre più disumanizzati.

Con la sua tensione ma anche la sua critica sociale che non si applica solo a una parte del mondo, Train to Busan è una piccola perla che non dovrebbe sfuggire ai radar degli amanti del genere. Il successo del film, inoltre, ha portato nel 2020 alla realizzazione di un sequel, dal titolo Peninsula, che tuttavia non è riuscito a raggiungere i livelli artistici del primo capitolo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica