Deve essere dura inventare ogni giorno una polemica per accusare il governo di qualcosa, anzi di qualsiasi cosa. Ieri, su alcuni giornali, in particolare la Repubblica, abbiamo letto compiti diligenti sulla destra, cattivissima, che si vuole «prendere» il cinema italiano. Doppio errore: si sopravvaluta la destra e si sottostima la sinistra. C'è andato di mezzo Pupi Avati, che chiuderebbe la Mostra in quanto cineasta dalla parte governativa della barricata. Opinione visionaria. È chiaro a tutti, tranne alla Repubblica, che Avati è stato convocato come grande artista, uomo d'industria, maestro del cinema italiano. Come se non bastasse, ha già partecipato a dieci (10) edizioni fin dai tempi in cui Giorgia Meloni faceva l'asilo, al massimo le elementari. Tra le altre cose, Avati fece vincere la Coppa Volpi a Carlo Delle Piane, miglior attore nel 1986 in Regalo di Natale. Normale dunque che sia stato scelto il suo L'orto americano per il gran finale.
In quanto al resto, il nuovo presidente della Biennale, Pietrangelo Buttafuoco, molto apprezzato per l'ingresso soft, ha optato per la continuità riassunta dalla conferma del direttore Alberto Barbera, figura che garantisce tutti. Il suo curriculum veneziano parla da solo. Se la Mostra del cinema è tornata a essere centrale, scavalcando il Festival di Cannes, il merito è soprattutto suo, e di chi lo chiamò, tra l'altro per la seconda volta, nel lontano 2011, quando Fratelli d'Italia ancora non esisteva. Altre prove sconclusionate della marcia su Cinecittà sarebbero i rinnovati criteri di assegnazione dei fondi pubblici al cinema. Si tratta di misure necessarie visto che un fiume di soldi è stato sperperato per pellicole mai arrivate sul mercato. Non è un'opinione del governo. Il sistema non funzionava: era chiaro a chiunque. Si possono discutere i dettagli, non la sostanza.
A chi fosse ancora in ansia, ci sentiamo di dire: tranquilli, le figure istituzionali sono cambiate ma attori, sceneggiatori, distributori, se potessero, voterebbero Mao Tse Tung, in sua assenza si accontentano di Elly Schlein. L'unica presenza fascista al Lido è fornita dai cartelloni che pubblicizzano lo sbarco a Venezia di M, la serie Sky tratta dall'omonimo romanzo di Antonio Scurati. Tuttavia la distesa di braccia alzate nel saluto romano è lì per incutere timore, visto che M è presentato come l'epitome del vecchio e nuovo antifascismo. In realtà assistiamo alle lacrime di coccodrillo di chi ha politicizzato tutto, senza lasciare neanche le briciole, e ora si stupisce che la destra, giunta al potere, voglia dire la sua, tra l'altro a voce bassa.
La logica dell'alternanza non è certo il forte di chi grida al golpe ogni volta che non può decidere le sorti del cinema come di qualsiasi altra istituzione culturale. Così, gli intellettuali, reali ma soprattutto sedicenti, sicuri della propria superiorità culturale, cantano in coro. L'inno è cambiato: da Bandiera rossa a tappeto rosso (red carpet).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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