Coraggio, la democrazia non è morta. È ancora possibile che una maggioranza, in un Parlamento liberamente eletto, voti una riforma. A maggioranza, ovviamente, perché lunanimità è richiesta soltanto dagli ordinamenti che una volta si definivano bulgari e che oggi sollecitano soltanto i fautori dellunità nazionale, del volemose bene a tutti i costi. La riforma dellordinamento giudiziario passa al Senato e passa con una maggioranza netta, senza che i lavori parlamentari facciano emergere il fumo che solitamente rivelano i colpi dei franchi tiratori. Il nuovo ordinamento giudiziario supera lo scoglio del Senato e passa alla Camera: è credibile il ministro della Giustizia Castelli quando dice che a Montecitorio non ci saranno colpi di scena e ripensamenti dellultima ora.
I magistrati hanno avversato questa riforma sostenendo che essa limita e impoverisce lautonomia delle toghe, ma il nuovo ordinamento ipotizzato non pone in alcun modo una supremazia operativa del potere esecutivo. I magistrati restano fuori dellinfluenza del potere esecutivo, ma questo non impedisce che loro piangano.
Certo, la nuova normativa non impone ai magistrati regole e comportamenti simili a quelli che condizionano tanti altri dipendenti pubblici, ma rivede, e risistema, tante questioni relative alla carriera e ai concorsi. Rivede la questione fondamentale dellammissione a un cursus che non ammette valutazioni successive e che prevede, invece, una progressione automatica della carriera: tutti raggiungono tutto, e nessuno può valutare la loro operatività e la loro efficienza.
La nuova normativa che il Senato ha approvato appare a molti una mezza riforma. Perché non separa, con la nettezza, che la raccomandazione del parlamento europeo avrebbe richiesto, la carriera dei pubblici ministeri da quella dei giudici. Eppure, la nuova normativa impone una precisa distinzione delle funzioni. È unindicazione precisa, nulla potrà essere come prima.
La verità è che lAssociazione nazionale dei magistrati difendeva lordinamento del 1941, maturato in un clima ideologico particolare, in una visione ordinamentale che accomunava giudici e pubblici ministeri.
Tutto questo deve cambiare. E cambierà.
Lopposizione in Senato ha votato contro la riforma proposta dalla maggioranza e questo è comprensibile, ma è chiaro che uno strapotere dei magistrati non piacerebbe a nessuna parte politica.
La riforma dellordinamento giudiziario non risolve oggi, subito, tutti i problemi che il degrado dellamministrazione della giustizia ha reso evidenti, dallanomala lunghezza dei procedimenti allinefficienza della pretesa punitiva, ma segna indubbiamente un passo in avanti. Nellinteresse dei cittadini, nellinteresse dei magistrati che non intendano intraprendere la carriera soltanto per sottrarsi a qualsiasi forma di controllo.
No, quella votata dal Senato non è una mezza riforma. È la riforma possibile in un Paese che si aggrappa al suo passato con una forza incomprensibile e che non vorrebbe cambiare mai. Lopposizione che i magistrati hanno manifestato contro la riforma significava la renitenza al cambiamento, lavversione al superamento di una legge che risaliva al 1941.
Quando anche la Camera avrà approvato la riforma, i cittadini saranno più tutelati e anche i magistrati saranno più rispettati.
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