Il colosso Umaga: «Addio All Blacks, faccio il papà»

Paolo Bugatto

Ha deciso di appendere le scarpe al chiodo perché Graham Henry, il signore delle mischie, gli ha già fatto capire che al mondiale del prossimo anno in Francia, lui, il capitano della squadra più forte del mondo, non ci sarà. Raggiunti limiti di età. Tana Umaga lascia gli All Blacks: «Voglio dedicare più tempo alla mia famiglia», racconta. Anche se per lui la famiglia è sempre stata quella che veste di nero per il lutto degli avversari. Settantaquattro presenze, 36 mete per il centro che più di ogni altro ha raccolto l'eredità di Jonah Lomu. Origini samoane. Suo fratello Mike ha vestito la maglia blu degli Islanders prima di sbarcare nel Regno Unito perché anche il portafoglio vuole la sua parte. Tana, il suo passaggio nel Vecchio continente lo ha consumato nel nostro Paese, tra le nebbie del Po. A Viadana ha giocato per una stagione, nel '94, ma tutti se le ricordano le sue trecce da battaglia. Soprattutto ricordano un Tana Umaga giovane, con il solito grande talento che da sempre caratterizza i neozelandesi che sbarcano in Italia. È nato nel '73 a Lower Hutt, un sobborgo di Wellington, dove giocherà ancora, dopo aver archiviato la sua storia con i tuttineri. «Non andrò in Europa - confessa -. Sto bene in Nuova Zelanda, è la mia casa ed è qui che voglio far crescere i miei figli. Ho smesso con gli All Blacks anche per fare il papà. Giocherò con gli Hurricanes. Voglio restituire loro quello che mi hanno dato in tutti questi anni».
L'onore delle armi porta la firma del capo allenatore degli All Blacks, quel Graham Henry che lo ha «tagliato» mandandolo in pensione. «Tana è stato tra i più grandi All Blacks di sempre. Un grande capitano - ha aggiunto -. Merita un posto tra gente come Buck Shelford oppure come Colin Meads». Un'investitura in piena regola per il primo neozelandese a fregiarsi del premio De Coubertin per il fair play. Accadde nel corso di un test match contro il Galles. Si disinteressò del gioco per andare a soccorrere la terza linea dei Dragoni, Colin Charvis, rimasto dolorante a terra. Infortuni che hanno segnato anche la sua carriera. L'ultimo in occasione della coppa del mondo in d'Australia ci ha riguardato da vicino. Nel match d'apertura contro l'Italia, il padovano Matteo Barbini gli cade addosso. Il risultato sono i legamenti del ginocchio che saltano. John Mitchell, il coach di quegli All Blacks decide di non mandarlo a casa. Resta nel gruppo e spera di riaverlo per la finale. Speranza vana perché all'appuntamento la Nuova Zelanda non ci sarà, battuta in semifinale dai Wallabies di Eddie Jones.
Dall'altra parte del Mar di Tasmania ancora si tormentano a pensare come sarebbe andata con Umaga in campo fino alla fine. Ora gli All Blacks stanno costruendo un altro assalto al mondiale. E sono partiti con il piede giusto centrando nell'autunno scorso il grande slam: hanno battuto tutte le Home Unions, dal Galles all'Inghilterra passando per Scozia e Irlanda.

Una superiorità schiacciante con Umaga, primo capitano samoano nella storia degli All Blacks, a vestire i panni dello skipper di un'autentica magia nera. Ma in Francia non sarà lui a guidare i nuovi invincibili sbarcati da downunder.

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