E no, signori: troppo facile. Troppo comodo, adesso, rispolverare i «mitici» Black bloc e nascondersi dietro i loro cappucci per ripararsi dalle schegge di responsabilità sprigionate dalle violenze che hanno sconvolto il centro di Roma. I teppisti organizzati per le strade della Capitale ieri c’erano, sicuramente. Ma non erano soli. Molti esponenti dei centri sociali e non pochi sedicenti studenti tiravano bombe al loro fianco. Le bandiere che sventolavano erano rosse. E nelle loro orecchie echeggiavano parole che davano piena legittimità alla lotta contro il tiranno.
Qualcuno, come Bersani, in teoria il leader del maggior partito di opposizione, ora prova a tirarsi fuori parlando di infiltrati e cercando addirittura di rovesciare la frittata sul ministro Maroni: «È intollerabile che nelle manifestazioni siano riusciti a inserirsi i violenti. Chiederemo chiarimenti su come non sia stato possibile prevenire episodi e scontri così gravi».
Qualcun altro, come Di Pietro, incredibilmente membro del Parlamento di una evoluta nazione democratica occidentale, fa lo gnorri, come se le sue frasi incendiarie nei confronti del premier (dopo Satana, Hitler, Videla, ieri ha tirato fuori dal suo modesto bagaglio culturale il paragone con Noriega) non avessero nulla a che fare con il clima nel quale sono maturati gli scontri. O forse è solo compiaciuto di aver visto alla fine incendiata quella piazza da lui spesso evocata invano negli ultimi tempi.
Fatto sta che il padrone dell’Italia dei valori non ha trovato neppure il fiato per solidarizzare con i poliziotti feriti. E come lui l’altro dinamitardo d’aula, l’altro supposto campione della legalità, Bocchino, che ormai la bocca la apre solo per sputare su Berlusconi.
Ma c’è chi si è spinto oltre. L’aspirante candidato premier della «nuova» sinistra, Vendola, ieri liricamente dipingeva il Medioevo italiano con i cattivi, i politici ricchi e potenti, chiusi nel Parlamento e i buoni, gli operai, gli studenti, i centri sociali, giustamente protesi all’assalto della fortezza. Era lì in piazza, il governatore della Puglia, simbolicamente alla guida di quei ragazzi di cui aveva già preso le difese due settimane fa, quando avevano fatto le prove generali della guerriglia irrompendo in Senato e tentando la stessa operazione alla Camera. Ricordate? La polizia aveva impedito il secondo blitz e l’uomo con l’orecchino si era indignato contro il ministro degli Interni: «Roma è stata assediata da una vera e propria tenaglia militare, che ricorda altre epoche e altre capitali: blindata e sequestrata come Santiago del Cile ai tempi di Pinochet». Ieri, dopo i terribili scontri, non si sono registrate sue dichiarazioni: evidentemente era abbastanza soddisfatto.
Il vuoto è stato riempito dal segretario di Rifondazione comunista, il partito da cui proviene Vendola: «Vergognosa macelleria messicana messa in atto dalla polizia a Roma. Un’ulteriore conferma del tratto fascistoide di questo governo». E con questo la capriola è completata, la realtà rovesciata.
I bombaroli della parola, quelli che sono saliti sui tetti incitando alla rivolta, quelli che un giorno sì e l’altro pure parlano di dittatura, di regime, di democrazia in pericolo, ora passeggiano fischiettando con le mani in tasca come se la cosa non li riguardasse, o danno ad altri la colpa dell’intollerabile saccheggio di Roma. Decine di agenti sono feriti, ma i macellai sono loro, gli uomini in divisa. I negozi sono distrutti, ma il responsabile è Maroni. Le camionette delle forze dell’ordine sono in fiamme, ma i seminatori d’odio non c’entrano: è tutta colpa di Black bloc, sicuramente stranieri, certamente incapaci di comprendere la lingua italiana e quindi mai neanche lontanamente influenzati dalle frasi irresponsabili dei cattivi maestri. Anzi, forse ingaggiati proprio da Berlusconi. O mandati qui da Putin.
Perché? Non si sa, ma nei file di Wikileaks magari una risposta si trova.Comunque sia, Bersani è innocente, Di Pietro immacolato, Bocchino un agnellino, Vendola puro come un giglio. Tutti al di sopra di ogni sospetto. E al di sotto della soglia del pudore.
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