Comisso trova la bellezza nei suoi "Giorni di guerra"

Nuova edizione per un classico dimenticato. Il Primo conflitto mondiale come non si è mai letto

Comisso trova la bellezza nei suoi "Giorni di guerra"

Giovanni Comisso, quello di Il porto dell'amore (1924), Gente di mare (1928) e Giorni di guerra (1930) è il sogno. Il sogno che la gioventù sia eterna, che il mondo sia disponibile a ogni scorreria, che la vita abbia sempre il sapore del miele e delle pesche. La morte? Anche la morte si può accettare, a certe gloriose condizioni, in pieno sole, a dorso di mulo, in mezzo alla verde natura, per una giocosa fu cilata del nemico, come in Giorni di guerra, sul fronte del Carso. La morte a vent'anni non è vera morte. È un balzo dalla perfezione all'eternità, evita l'umiliazione del declino fisico e mentale. «Perché paura di morire? mi ripetevo. E in lotta con me stesso giunsi a fermare il mulo. Perché paura di morire qui?. E rimasi a guardare i prati al limitare dei boschi dove la sera mi innamorava e consolava dolcemente».

La nave di Teseo sta pubblicando l'opera omnia di Comisso. In questi giorni è uscito proprio Giorni di guerra, in una bella edizione con prefazione di Paolo Di Paolo, una densa postfazione di Benedetta Centovalli e una interessante antologia della critica.

Il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Il 4 o forse il 5 giugno 1915, Comisso, arruolato nel Genio, dopo una marcia disastrosa, passava la frontiera austriaca. Iniziava il divertimento. Comisso non era in prima linea. Si godeva lo spettacolo quasi con spensieratezza. Le sue memorie di combattente sono diverse da quelle degli altri scrittori al fronte, da Curzio Malaparte a Carlo Emilio Gadda. In Giorni di guerra ci sono la battaglia del Montello, il Monte Grappa, i cadaveri gonfi che sembrano appartenere a un'altra specie, i gas, le colonne di fumo, le linee telefoniche da stabilire, le fucilazioni dei disertori, le donne intimorite dallo stupro, il senso di responsabilità nel trovarsi alla guida di un manipolo di uomini dopo la disfatta di Caporetto.

Eppure, perfino tra i proiettili, si spalancano momenti di bellezza e di gioia di essere vivi: un bosco fiabesco, le case bianche di Gorizia in fondo alla valle, una sigaretta dopo un'impresa pericolosa, andare in bicicletta cantando felici, nonostante sia vicino il rombo dei cannoni. Questa apparente incoscienza non va scambiata per cinismo. Al contrario, è figlia della sensibilità. La stessa che permette di sbalzare personaggi memorabili con cinque parole. È il caso del «teppista milanese» inviato per punizione in un avamposto. Il delinquente, mai chiamato per nome, si mostra abile e coraggioso. La prontezza è il riflesso della natura di «teppista».

Comisso non era certo un vigliacco, nonostante facesse il possibile per non finire dritto in trincea. Quando rischiava la pelle, e succedeva, lo faceva con noncuranza. Anche al colmo della disperazione, durante la ritirata seguita a Caporetto, Comisso tenne i nervi saldi e guidò la sua compagnia fuori dai guai attraverso una via pericolosa. Il riposo era però sacro, che arrivassero gli austriaci o no. Ogni volta che trovava un buon letto lungo il cammino, Comisso ne approfittava e fermava i suoi soldati stupefatti. Chi lo aveva incrociato in prima linea, sapeva che Comisso si inoltrava senza problemi in terreni scoperti, sotto il tiro degli austriaci, per stabilire o riparare le linee telefoniche tra un reparto e l'altro. Sapeva anche che allungava la sua permanenza nelle zone calde con «passeggiate» da brivido a tiro di schioppo austriaco. Memorabile, in Giorni di guerra, è l'ascesa al monte Rombon . Comisso si sdraia nel carrello di una teleferica e resta incantato dal cielo. Nel frattempo è illuminato dai fari del nemico, che aziona la mitragliatrice. «Non vedevo il vuoto sottostante e non potevo immaginarlo. Altro tempo passò e non so quanto, perché mi ero come incantato nello stabilire la prospettiva di alcune stelle». Comisso si sentiva invulnerabile?

Nell'esaltazione bellica di Comisso non c'è niente né dell'interventismo alla Mussolini né della retorica marinettiana sulla guerra igiene del mondo, nonostante qualche superficiale professione di futurismo. Comisso partecipa alla guerra come un eroe omerico magari un po' defilato rispetto a Ettore e Achille. Avverte il richiamo dell'avventura e della gloria (soprattutto altrui). C'è anche qualcosa di erotico in quella violenza tra maschi che vivono insieme, lottano insieme, si lavano insieme nei fiumi. È la fiera dell'attrazione e tentazione omosessuale. Anche se, quando possono, i soldati vanno a divertirsi a valle con le ragazze del luogo.

La ritirata passa per Treviso, la città di Comisso. La popolazione, inclusi i genitori dello scrittore, è stata evacuata. Potrebbe essere un ritorno triste. Invece, ancora una volta, Comisso è toccato dalla bellezza. Non è una bellezza generica. È la bellezza rivelata dalla guerra: «La mia città deserta appariva a momenti d'una bellezza che mai avrei potuto immaginare». Insomma, Comisso trova anche nella tragedia un'occasione per stupirsi e innamorarsi della varietà della vita e della esuberanza della natura.

Non c'è superficialità. Al contrario, bisogna spingersi molto lontano per arrivare alle conclusioni di Comisso.

Bisogna andare a vedere fino in fondo cosa sia la vita e se abbia un significato.

Forse la risposta sarà negativa. Ma la negazione rende la realtà ancora più preziosa e poetica e nostalgica. È il segreto del miglior Comisso e Giorni di guerra lo rivela appieno. Per questo è una lettura indimenticabile.

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