Rifiutato dal direttore della Mostra di Venezia, Millionaire di Danny Boyle ha egualmente vinto ieri otto Oscar, una quantità impressionante che include due dei principali: quelli per il miglior film e per la regia. Tutti possono sbagliare. Ma, quando fa giusto, cioè quando gli Oscar confermano le sue scelte, il direttore della Mostra diffonde raffiche di comunicati stampa per vantarsene. Ieri ha taciuto.
Direte: si fa presto a parlare col senno di poi. Ma, al distributore italiano, era bastato un «promo» di venti minuti per capire quanto valeva «Millionaire» e comprarne i diritti fin dallaprile scorso (la Mostra era in agosto-settembre).
Nella serata dei premi più ambiti al mondo, ha dunque prevalso il cinema che dice non solo cose giuste - la vita è dura, devi lottare - ma fa anche spettacolo e dà forza di vivere. Non è questa la logica cara ai selezionatori e nemmeno ai giurati dei grossi festival, progressisti incongruenti, che credono nella predestinazione, non nellemancipazione.
Ancora. Nella serata dei premi più ambiti, con Millionaire ha trionfato la fiaba con sfondi di realtà: lui non può vivere senza lei, ma sa che potrà averla solo assicurandole un reddito. Che, da bambini, si riconoscessero in due dei tre moschettieri, anche se non vivevano alla Corte di Versailles, ma alla Corte dei Miracoli di Mumbay, è un modo tenero e intelligente per ricordare che ci sono amori diversi da quelli distruttivi.
Anche gli altri premi maggiori di questa edizione degli Oscar sono condivisibili, più del solito. Kate Winslet, in The Reader di Stephen Daldry, è commovente. Forse è stata - con gli Oscar succede quasi sempre - premiata più come personaggio (di pedofila più che di Ss) che come interprete. Comunque sia, la più brava era lei.
Quanto a Sean Penn, premiato come interprete di Milk di Gus Van Sant, il dubbio che a vincere sia stato il personaggio sfiora la certezza; idem, in senso opposto, che Frank Langella abbia perso per aver reso simpatico Nixon in Frost/Nixon di Ron Howard.
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