Il commento Il realismo di Sorrentino si merita tutto

Un anno fa Cannes premiò il notevole ma prolisso Gomorra di Garrone, più del conciso e sardonico Divo di Sorrentino. Ora i David danno più candidature al Divo che a Gomorra. Lusinghiere anche le posizioni di Ex di Brizzi, Si può fare di Manfredonia, Tutta la vita davanti di Virzi e Il papà di Giovanna di Avati. Quanto più le giurie dei festival si considerano giudici politici incaricati di correggere le ingiustizie sociali, tanto più s’accentua il divario fra i riconoscimenti da loro attribuiti e gli incassi dei film medesimi. La giuria del David pare invece tener conto della più semplice delle realtà: che il buon film è il film che incassa. Anche perché con quei soldi si possono finanziare opere ambiziose. Si sa: al pubblico piacciono i film di genere, come le commedie; se la commedia è esteticamente inappuntabile, come Il divo, tanto meglio. Sorrentino ha quadrato il cerchio. È riuscito perfino a convincere i critici.

A otto anni dalla loro indifferenza per il suo film d’esordio, L’uomo in più (Venezia, 2001); poi dall’ostilità aperta per Le tentazioni dell’amore (Cannes, 2004) e L’amico di famiglia (Cannes, 2006), scalda il cuore che l’unico regista completo apparso nell’ultimo decennio sia riconosciuto come tale. E che cada la diffidenza per il suo realismo. Nel cinema di Sorrentino ci sono cattivi abili e meschini qualunque. Come nella realtà.

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