Nelle notti dellafa mi è capitato, di recente, di rivedere in tv, nel dormiveglia in bianco e nero, vecchi filmati del Giro dItalia, della rivalità fra Coppi e Bartali. Ho potuto vedere diversi arrivi della grande gara, a Milano, al Vigorelli, coi campioni seguiti dalla vecchie «Millecento» fra ali di folla impazzita, di milanesi imbrillantinati, vestiti con la modestia imposta dal dopoguerra, ma felici. Tifosi più magri di quelli che si vedono oggi, ma entusiasti. Rifletto su quelle immagini e mi dico quel che tutti si dicono, anche quelli che non seguono il ciclismo e non conoscono lepica del Bondone e dellIzoard: che, cioè, Milano e il Giro dItalia non si possono staccare. «Esportare» larrivo del Giro fuori dal cuore di Milano sarebbe come tradire la memoria della gara e della città. Ma il Giro non vive di sola memoria, si alimenta di sostegni economici, sponsorizzazioni, organizzazione basata su efficienza e cooperazioni: il Giro oggi arriva sotto locchio della televisione (un tempo cerano soltanto gli operatori dei cinegiornali), in una metropoli congestionata e nervosa.
Gli organizzatori della grande carovana chiedono, non a torto, che Milano faccia qualcosa di più rispetto al passato in termini di mezzi, accoglienza, temporanee limitazioni del traffico. Il Giro val bene uno sforzo, mantenere e rinverdire le tradizioni che hanno una forte valenza popolare comporta sicuramente dei costi. Che la città deve sostenere, facendo pesare le sue proposte chiare per chiudere una polemica che sembra avere molti elementi di interessata pre-tattica.
Milano non può e non deve perdere larrivo del Giro e gli amministratori della città debbono capire che una mancata intesa su questo punto sarebbe una macchia sulla fedina sportiva e organizzativa.
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