"Condannare Di Fazio per i maltrattamenti anche alla ex moglie"

La Procura generale chiede alla Cassazione giustizia per gli episodi commessi in famiglia fino al 2017

"Condannare Di Fazio per i maltrattamenti anche alla ex moglie"
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I maltrattamenti in famiglia possono persistere anche se i due coniugi non vivono più sotto lo stesso tetto. Per di più quando questi avvengono in presenza di un «figlio neonato», che richiede le cure di entrambi i genitori. Sono questi gli argomenti con cui la Procura generale ha chiesto che siano inquadrate come maltrattamenti, e non come atti persecutori (lo stalking), le condotte di Antonio Di Fazio nei confronti della ex moglie, andate avanti per oltre un decennio.

L'ormai ex imprenditore della farmaceutica, infatti, è stato condannato a 9 anni in appello per nove episodi abusi sessuali (con l'uso di benzodiazepine) ma è stato prosciolto per prescrizione nei capi di imputazione che riguardano la ex. Ma la sostituta pg Laura Gay invece insiste perché venga condannato anche per questi episodi. La donna aveva denunciato l'ex marito decine di volte prima che venisse arrestato a Milano nel 2021, per avere narcotizzato e stuprato una studentessa dopo averla attirata in casa con la scusa di uno stage. Denunce che però erano state archiviate nel 2017. Dopo l'arresto, l'ex moglie si era quindi convinta a rivolgersi nuovamente all'autorità giudiziaria, che stava svolgendo indagini sulle altre donne vittime di abusi.

Ma la sentenza di secondo grado ha bocciato tutte le sue aspettative di avere «giustizia»: i giudici d'appello hanno inquadrato le condotte di maltrattamenti come stalking e prosciolto l'uomo per prescrizione. La ex, assistita dall'avvocata Maria Teresa Zampogna, si è peraltro vista revocare le statuizioni civili che erano state stabilite dal gup nel processo che si è svolto con rito abbreviato. Nel ricorso lungo una decina di pagine, la sostituta pg Laura Gay sottolinea invece che Di Fazio maltrattò la ex anche se i due si erano separati e vivevano in case diverse, poiché entrambi avevano il compito di accudire il figlio piccolo. La Procura generale contesta il «taglio netto» con cui sono state inquadrate le condotte nella sentenza d'appello e cita invece la recente giurisprudenza della Cassazione che stabilisce che «l'assenza di convivenza non comporta automaticamente l'interruzione dei rapporti». E - allegando anche tutte le denunce, tra cui ben sei presentate il 2015 e il 2016 - fa riferimento a specifiche «condotte vessatorie» che sarebbero andate avanti per un decennio. Ovvero dal 2008 al 2017, anno del divorzio, in quanto «i vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione sono perdurati integri anche a seguito del venir meno della convivenza».

La vittima - chiarisce infine la Procura come già affermato nella requisitoria orale - è stata «ritenuta credibile e vi sono stati dei riscontri esterni. Ci sono tutti gli elementi del reato».

Nel frattempo anche l'imputato, che ha cambiato avvocato e che è oggi difeso dal legale Ivano Chiesa, ha presentato ricorso per Cassazione contro la sentenza d'appello con la motivazione che la pena inflitta è «decisamente sproporzionata all'entità dei fatti».

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