Quella contrada aspra che sembra una frontiera

Ignazio Silone viaggia nella propria terra sulle tracce di cavalieri medievali e di greggi dalla lana preziosa

di Ignazio Silone

P ermettetemi di condurvi nella contrada che meglio conosco, la Marsica, in cui i superstiti caratteri di «piccola patria» autonoma sono più riconoscibili che altrove. Chi da Roma prende la via Tiburtina-Valeria, oltrepassa il confine amministrativo tra il Lazio e l'Abruzzo inavvertitamente, subito dopo Arsoli. La vecchia Carsoli, dominata dai ruderi d'un castello e dal boscoso monte Fontecellese, è già Marsica per una certa vicenda di storia locale, ma non per altro. Subito dopo Carsoli, la strada comincia a salire con svolte e risvolte sempre più ripide, e il paesaggio muta rapidamente, si fa arido e brullo. Qualche chilometro più in su, arrivando a Colli di Monte Bove, si ha la netta impressione dell'approssimarsi d'una frontiera. Colli è un paesetto grigio, perfettamente mimetizzato col calcare della roccia su cui è costruito. Proseguendo ancora per alcune centinaia di metri, si arriva alla sommità del valico, con una casa cantoniera che ha l'aspetto preciso d'una casermetta della dogana. Nessuno tuttavia vi chiederà il passaporto. Di lì guardo lo spazio molto lontano sul versante marso, dominato dalla imponente mole grigio-azzurra del Velino. Non si scorgono, neanche in lontananza, agglomerazioni umane, e l'aria è frizzante come sui passi alpini. Il nome di un monte vicino ricorda i tempi in cui l'immagine popolare si nutriva ancora di leggende cavalleresche: il nome è Guardia d'Orlando, e sul suo culmine la spaccatura d'un masso detta la Portella, è attribuita a un colpo di lancia del famoso cavaliere facile all'ira. Ma una breve deviazione, che conduce a un centro sportivo, denominato Marsia, ci riporta ai tempi nostri. Da Monte Bove la strada scende rapidamente verso i Campi Palentini, e cominciano a vedersi a qualche distanza, nelle pieghe della montagna, piccoli mucchi di casette annerite, accatastate attorno a un campanile. Qualche asino e qualche capra sono i soli segni di vita. Questa la ritroveremo al piano, all'improvviso, costeggiando Tagliacozzo e attraversando i Campi Patentini, che sono l'anticamera della conca del Fucino, trovandoci subito attorniati da un intenso traffico di macchine e di bestiame (forse reduce da un mercato).

Il sottosuolo è rimasto certamente immutato: ma in superficie, salvo il paesaggio, molte cose sono cambiate. Il grande mutamento ebbe inizio dalla costruzione delle due principali linee ferroviarie, la litoranea Adriatica e la Bologna-Pescara (1888), cui seguirono le diramazioni Aquila-Sulmona, Avezzano-Roccasecca e la Sangritana. Le barriere naturali delle montagne furono allora debellate dalle gallerie delle strade ferrate (come, una dozzina d'anni prima, la galleria dell'Incile aveva liberato le acque prigioniere del Fucino). Si pensi che, anche dopo l'integrazione dell'Abruzzo nel regno d'Italia, fino alla costruzione delle ferrovie, il polo della sua vita culturale era rimasto Napoli e che la maggioranza degli studenti abruzzesi frequentava quell'università. Alle galleria ferroviarie si sono aggiunte di recente quelle delle autostrade. La gloriosa vaporiera Baiarda è stata sostituita dalle più veloci locomotive elettriche, i muli e gli asini han ceduto il passo ai veicoli motorizzati, e nella conca del Fucino è stata eretta la prima Telestar italiana. La vita sociale ne è rimasta sconvolta. Una certa arcaicità retorica, d'origine dannunziana, ha ormai perduto, se mai l'ebbe, ogni giustificazione reale, anche se talvolta riecheggia in orazioni e articoli celebrativi di sagre paesane.

Il dialetto, «la bella parlatura paesana» secondo il poeta Alfredo Luciani, è in progressivo disuso, e sta diventando il gergo misterioso degli anziani. I giovani discorrono di motori e canzonette con i loro coetanei delle altre regioni. Le case non sono più costruite dai capimastri, ma dagli architetti. Anche in Abruzzo, al posto del medico condotto adesso c'è quello della mutua o del servizio nazionale sanitario. Il farmacista è diventato una specie di droghiere che vende specialità già confezionate; sul suo tavolo non c'è più la bilancia di cui non saprebbe che farsene. Anche nelle minime chiesette il prete predica con l'altoparlante. Le donne non partoriscono più in famiglia con l'assistenza della levatrice, ma in clinica, e partoriscono di meno.

Un altro grosso fenomeno dell'economia e della società abruzzese è rappresentato dalla riduzione dell'allevamento ovino con la conseguente decadenza dell'industria locale della lana. Vi hanno concorso varie cause.

La bonifica del Tavoliere delle Puglie e dell'Agro romano ha privato le greggi abruzzesi della necessaria transumanza invernale. I tratturi da tempo sono stati lottizzati.

Agli artigiani senza lavoro, si sono aggiunti, in questi ultimi anni, molti giovani contadini, e assieme sono partiti in cerca di lavoro o di miglior guadagno.

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