LA CORTINA DEL SILENZIO

Chi l’ha visto? Lo scandalo Unipol – scandalo vero: imponente, miliardario, politicamente marchiato – naviga ormai nell’oceano delle nebbie, e nessuno ne parla, è scomparso dai radar giornalistici di prima segnalazione, forse arenato sulle secche della procedura, fra il mar dei sargassi e il mar dei cavilli. In questi giorni convulsi ci si accanisce sulla «par condicio» e altre cose, pure importanti, svaporano nella memoria, ecco pare ormai che il caso Unipol, con lo scalatore Consorte e i soci e i referenti e commensali di Bernheim e tutti quei conti avanti e indré dalle patrie frontiere, e quei collegamenti col tesoriere della Quercia (che prima si chiamava Pci, poi Pds, ora Ds) appartengano a una lontana era glaciale, della quale non è fine parlare.
Un capolavoro di occultamento, di mimetizzazione fra le notizie di incerto appeal, fra gli scarti di cronaca che devi andare a cercare, se proprio sei tignoso, in quelle pagine che i più non sfogliano.
Dicono che i Ds non siano più comunisti, certamente non possono avvalersi della «cortina di ferro», ma sanno ancora usare la cortina del silenzio, fidando su settori, segmenti, nicchie di potere della società italiana.
Per il caso Unipol la dirigenza dei Democratici di sinistra ha usato consapevolmente lo strumento del vittimismo operoso, diffondendo l’idea che fosse immorale, mostruoso dubitare di un partito che della «questione morale» aveva fatto il cavallo di battaglia. Non vogliamo sconvolgere la mitologia, ma non è colpa di nessuno se Piero Fassino è stato beccato mentre conversava con Giovanni Consorte (il che non è reato) e si compiaceva perché, così diceva, «abbiamo una banca».
Non è colpa di nessuno se i vertici dei Ds hanno sostenuto (con atti, pensieri, omissioni?) la scalata di Consorte tesa alla conquista della Banca nazionale del lavoro, ma pare evidente che in questo «tifo» (quale eufemismo) c’era lo stesso calore con cui Massimo D’Alema, ai tempi di Telecom, elogiò i «capitani coraggiosi». E sarà interessante controllare e scoprire quali legami ci furono, ai tempi di quell’operazione, fra una certa finanza rossa e una certa finanza corsara. Di fili da dipanare la magistratura ne ha tanti, basta che abbia voglia e tenacia per andare avanti.
Ci sono ancora tante cose da acclarare, sviscerare, comunicare. Sempre che tutti facciano il loro lavoro e che la libera stampa abbia la sensibilità di individuare, nel mare delle nebbie, il galeone Unipol. Che imbarca acqua e rischia di affondare nel disinteresse generale, esito ingiusto, dato che la Coop sei tu.
Le cooperative rosse, mitico argomento nel gran libro del «politicamente corretto». Vogliamo guardare più da vicino, senza lasciarci influenzare dalle leggende? Le cooperative rosse sono state fra le grandi vie di alimentazione del più grande partito della sinistra, anche quando era organicamente legato all’Unione Sovietica e alle mortifere credenze nel socialismo reale. Il rapporto fra cooperative rosse e Pci-Pds-Ds è un dato storico incontrovertibile, una connection certa, sulla quale tante inchieste giudiziarie hanno indagato. È il «collateralismo» di cui parlano coloro che amano il politichese.

Chi vuol essere più diretto e comprensibile dice che le cooperative rosse hanno negli anni finanziato il Pci e i partiti che ne hanno ereditato storia e prassi.
Tutto questo spiega perché dovremmo interessarci con passione e civile tensione dello scandalo Unipol, ma spiega anche perché questo caso si stia perdendo nel mare delle nebbie.

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