L'arte è sempre politica e la politica passa anche dall'arte. La prova è alla Biennale di Venezia dove - fra proteste, opere esposte e scelte curatoriali - i Padiglioni nazionali diventano la cartina di tornasole della geopolitica. Del resto il nuovo presidente della Biennale, Pietrangelo Buttafuoco, ieri lo ha detto chiaramente: «Il padiglione di Israele che decide di non aprire, nell'assoluto della verità capovolge l'atto estremo dell'artista nel mettersi in opera al servizio della verità: il cessate il fuoco. E questo è un fatto d'arte». Intanto ieri un gruppo di manifestanti ha sfilato davanti ai padiglioni di Israele e Stati Uniti, uno accanto all'altro ai Giardini della Biennale, invocando una «Palestina libera» e accusando i due Stati di genocidio. «No death in Venice».
Tra gli 87 padiglioni nazionali, quest'anno molto curiosi, colorati e originali (citiamo quelli della Germania su come sarà un mondo del futuro senza gravità; della Francia sul superamento dei Continenti; della Corea sulla memoria degli odori; e dell'Azerbaigian, curato dall'italiano Luca Beatrice, sul rapporto fra mondo pop e realismo socialista), molti declinano in modi diversi i temi della Biennale queer di Adriano Pedrosa, quindi lo straniero il migrante, l'indigeno, l'universo Lgbtq, la colonizzazione. E moltissimi invece intrecciano arte, guerra e politica.
La Polonia, cambiato il governo, ha cambiato anche il progetto espositivo: e così oggi ospita una performance video del collettivo ucraino «Open Group» incentrato sugli sfollati della guerra in Ucraina. E da parte sua il padiglione ucraino mette in fila una serie di installazioni tra cui il film Civilians. Invasion che racconta l'invasione russa attraverso gli occhi dei civili. A proposito, e la Russia? Non c'è qui a Venezia ma ha subaffittato il suo padiglione alla Bolivia, notoriamente un Paese amico (la Russia è stata ammessa allo sfruttamento dei giacimenti di litio sulle Ande). Poi, a volte, si creano cortocircuiti politico-propagandistici molto curiosi. Ad esempio. L'Arabia Saudita, Paese che non brilla per l'attenzione all'universo femminile, porta come artista di bandiera Manal AlDowayan, nota per il suo lavoro sui cambiamenti della condizione delle donne in Medio Oriente. Mentre l'Iran - il cui Padiglione a Palazzo Malipiero non ha ancora aperto, forse lo farà domenica - ha intitola la sua esposizione Of One Essence is the Human Race. Lo prendiamo come un augurio, ma constatiamo che sono stati inviati solo artisti scelti dal governo, mentre ieri un gruppo di iraniani dissidenti ha protestato qui a Venezia proprio contro la presenza della Repubblica Islamica alla Biennale. Poi c'è il caso Qatar.
Il Paese arabo, che porta un sontuoso progetto, ha il suo padiglione a Palazzo Franchetti, al piano nobile, mentre nel mezzanino del Palazzo è stata inaugurata ieri, fuori biennale, la mostra Breast, che come dice il titolo esplora il modo in cui l'arte ha rappresentato nei secoli il décolleté femminile. Il problema è che non si è potuto esporre alcun manifesto pubblicitario per non rischiare tensioni con l'illustre ospite qatariota...
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.