Così Arcangeli rende poetiche anche le periferie delle metropoli

Giovanni Arcangeli (1950) nutre nei confronti dell’arte una passione che non l’ha mai abbandonato. Ogni giorno trascorre nel suo studio diverse ore, perché per lui la pittura è un’esigenza espressiva. Il suo rigore era già evidente negli anni ’70 del secolo scorso, quando cominciò a farsi notare con le prime mostre. Il tema preferito era il paesaggio, in particolare quello di Roma che egli eseguiva en plein air. Una trentina di questi quadri dipinti sono esposti fino al 30 aprile nella mostra Giovanni Arcangeli. Paesaggio urbano. Anni ’70 e ’80 nella Galleria Incontro d'arte (via del Vantaggio 17/A). Si tratta di oli su tela o su tavola che ci mostrano non la città monumentale ma insolite inquadrature della periferia, paesaggi moderni nei quali la natura con il suo verde rigoglioso è in un certo senso contaminata da strutture industriali. Capannoni, gru, silos e cantieri che, visti oggi, assumono anche un valore storico, in quanto documentano le trasformazioni della città contemporanea. Nella pittura di Arcangeli mancano le persone, le macchine o altri elementi che possono alterare le linee architettoniche della composizione, ma si intuisce il decadimento del paesaggio, in funzione delle nuove esigenze della città, dalle scelte cromatiche che a volte trasmettono un sottile senso di malinconia, come in Paesaggio industriale presso Labaro del 1977, Paesaggio industriale sull’Aurelia del ’78, o Lavori presso Villa Carpegna dell’83. I quadri in mostra sono sostanzialmente inediti, tutt’altro che scontati se pensiamo alla pittura di quegli anni, quando il tema del paesaggio urbano era poco diffuso.

Ma Arcangeli, come nota Carlo Fabrizio Carli, «aveva subito la fascinazione del primo Balla, il Balla prima dell’adesione al futurismo, interprete della Roma agli albori del Novecento, città in piena trasformazione e carica di laceranti contraddizioni sociali».

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