Così il Palazzo dell'Arengario è tornato a vivere "Quarto Stato" in vetrina: si ammira dalla piazza

Il Gruppo Rota riporta alla vita l'Arengario, uno spazio stravagante le cui funzioni per molti anni non sono state all’altezza del luogo. Tutte le energie coinvolte vengono rimesse al loro posto. Con un'unica clausola: portare all'esterno l'arte. E il Quarto Stato va in vetrina

Così il Palazzo dell'Arengario è tornato a vivere 
"Quarto Stato" in vetrina: si ammira dalla piazza

Milano - Il cantiere non è solo il momento nel quale i disegni prendono corpo. E’ pure un momento di verifica delle visioni. Si parte con il lavoro di demolizione e di liberazione delle spazio da tutte le strutture. Il cantiere è anche il momento in l’architettura riporta l'uomo nella caverna. Per poi ridargli la luce. Così è stato fatto dagli architetti Italo Rota e Fabio Fornasari per il Palazzo dell'Arengario che dal 6 novembre ospita il Museo del Novecento.

L'Arengario torna a vivere Con il Museo del Novecento e i mirabolanti lavori architettonici del Gruppo Rota all'Arengario viene restituita la natura del contesto. Uno spazio stravagante le cui funzioni per molti anni non sono state all’altezza del luogo e dell’aspetto monumentale dell’edificio, viene riconsegnato ai milanesi in tutto il suo splendore. Tutte le energie coinvolte vengono rimesse al loro posto. Troppo a lungo la Torre dell’Arengario è stata una presenza che rivestiva il nulla di monumentalità. Sicuramente il suo essere nato come luogo della celebrazione di uno stato imperialista lo ha investito di una monumentalità che non ha retto al giudizio della storia. Negli anni Trenta, infatti, si sentì la necessità di avere anche per Milano un'architettura che interpretasse i bisogni con opere simboliche per celebrare il potere.

Il vero volto architettonico Il progetto architettonico si compenetra a quello museografico. Non è sufficiente dire che il museo è di arte italiana del Novecento per definirlo. E' la declinazione nello spazio reale, nel suo essere edificio che alla fine fa di questo progetto un museo e ne definisce gli ambiti. L’interpretazione data dal Gruppo Rota pone notevole attenzione sulla sua percezione da parte della città: che sia un luogo dove è piacevole andare. Un luogo urbano che si apre alla piazza, che la porta dentro attraverso la rampa che collega il museo e le sue sale al livello della metropolitana. A fianco delle sale museali il progetto prevede ampi spazi attraversabili dal pubblico.

Uno spazio aperto al pubblico Un unico vincolo era stato posto alla realizzazione del nuovo museo: la collocazione di collezioni importanti e uniche. In questa idea di strada pubblica interna, di hall aperta al pubblico, si colloca una delle opere più conosciute tra quelle dell’arte italiana: il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Un quadro importante per tecnica e per i contenuti sociali. Un’opera nota e riprodotta in tutto il mondo che lancia una dichiarazione d'intenti esplicita: questo spazio racconta l'arte italiana del Novecento tanto da portare all'esterno l’opera più importante. Se la hall è la strada, la piazza dove si celebra una nuova cittadinanza fatta di opere d’arte, il museo è l’estensione di un teatro di memorie. Sono spazi che si modulano differentemente lungo i percorsi. Una modulazione che comprime e dilata l’attenzione e porta a muoversi all’interno di un percorso che non è solo una linea di avanzamento ma un playground dove esercitare sensi e sensazioni in diversi momenti.

Un percorso fatto di pause e rallentamenti Nel nuovo volto dell'Arengario si incrociano architettura, storia e materia. Il progetto non prevedeva di conservare l’edificio secondo un'attitudine propria del restauro scientifico, chiedeva piuttosto di rispettarne i fronti strada e la volumetria. Non vi erano vincoli che imponevano la conservazione di ogni parte. Nonostante questo il Gruppo Rota ha lavorato in una strategia conservativa di quegli elementi che rappresentavano la storia di un'epoca tutta coinvolta all’interno del tema stesso del museo. Per questo la Torre è divenuta lo spazio pubblico di tutto il sistema tanto da non dover ospitare sale museali se non nella parte alta. Un altro modo per enfatizzare questa dimensione di piazza e ribaltare quella visione di retro che non è più compatibile con la storia della città.

Enfatizzato il ruolo della Torre Con il nuovo progetto la torre diventa il continuo dell’esperienza della piazza: partendo dal livello della metropolitana, collegata alla base della torre si risale lungo una strada che si avvolge intorno a una figura che ricorda un cactus e che contiene una serie di opere che introducono ai contenuti del museo.

L'edificio riesce così a imporsi fisicamente nel centro della città diventando il luogo della community che ha per tema l’arte del Novecento e anche il tempo stesso che l’ha prodotta. Anche per questo oltre alle sale museali il sistema prevede una sezione di archivi che a fianco delle attività espositiva offrono un luogo dove questa idea di community può trovare spazio.  

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