Che gli italiani siano uno dei popoli meno militaristi del mondo, come Whittam ci ricorda sin dalla prima pagina, è indubitabile: e solo la retorica del fascismo era riuscita a farlo dimenticare per qualche decennio. Ma dietro questa constatazione si profila una valutazione assai meno lusinghiera. Gli italiani, si dice in buona sostanza, sono poco militaristi non per insofferenza dello spirito di caserma o per civile avversione a quella forma suprema e più estesa di violenza che è la guerra, ma perché imbelli da secoli o forse da sempre, così da giustificare il detto che «gli italiani non si battono». La volontà di smentire quel detto fu, per molti italiani del Risorgimento, la molla che più di ogni altra li indusse ad aderire a quel generale programma di rivendicazione della dignità nazionale che caratterizzava il movimento patriottico.
Checché se ne sia detto nell'infuriare dello scontro politico e ideologico degli ultimi anni, il movimento nazionale italiano riuscì a trasformare l'antico esercito dinastico dei sovrani sabaudi in una istituzione largamente penetrata di elementi nazionali, gradualmente trasformatasi da guardia regia in grande organizzazione di massa, e rimasta sempre aliena dalle tentazioni «golpiste» e dagli eccessi di politicizzazione che pure altri grandi eserciti hanno conosciuto.
Non si poté evitare che, in Italia come altrove, le truppe fossero spesso chiamate a intervenire nei conflitti civili: ma è notevole che ciò non sia mai avvenuto senza suscitare resistenze e dissensi in parecchi esponenti dell'alta gerarchia militare.
Resta comunque la constatazione che, dopo ottanta o novant'anni di tentativi sperimentati con varia fortuna, l'operazione rivolta a dimostrare che, contrariamente all'antico detto, gli italiani «si battono», ha finito per risolversi in una conferma del giudizio o pregiudizio tradizionale. Gli italiani sembrano aver nuovamente accettato quel marchio contro il quale tanti dei loro antenati si rivoltarono nel secolo scorso: e hanno rinunciato senza fatica a quel prestigio militare che, a detta di un uomo della vecchia generazione come Arturo Carlo Jemolo, è per i popoli l'equivalente di ciò che l'orgoglio sessuale è per gli individui.
Il latin lover si è mostrato più resistente dei nuovi romani di Mussolini, che al classico dettame di «facere et pati fortia» hanno mostrato di preferire programmi di vita e attività più conformi alle proprie tradizioni di popolo garbato e operoso.
Perché? Su questo terreno, piuttosto che di vere ed esaurienti spiegazioni di tipo causale si deve parlare di circostanze atte a coadiuvare o ad ostacolare il prodursi di certi fenomeni. Fra le circostanze che hanno ostacolato la formazione di una grande tradizione militare italiana si potrà dunque elencare la precoce liquidazione dell'aristocrazia feudale nell'Italia centro settentrionale, la tardiva costituzione dello Stato nazione.
L'assenza di grandi moti di popolo, lo sviluppo di una civiltà urbana e mercantile poco adatta a coltivare la guerra e i suoi miti. Di fatto l'Italia ereditò strutture militari in cui già si riflettevano largamente l'inefficienza e la macchinosità di tutta la vecchia amministrazione piemontese; e molta di questa eredità sopravvisse anche nell'era della grande trasformazione tecnologica realizzatasi fra i due secoli. Quel tanto di modernità che aveva rinnovato certi settori della società civile stentò sempre a farsi strada nell'organizzazione militare del Paese.
La Prima e vittoriosa guerra mondiale venne dunque combattuta in prevalenza da contadini e da borghesi provenienti dalle regioni meno industrializzate del Paese; e la Seconda da uno Stato che nella sua incapacità di mobilitare le pur modeste risorse disponibili raggiunse un vero primato mondiale.
Nel dopoguerra, dismesso il «glorioso grigioverde» e liquidata la flotta da battaglia a prezzi di rottame, gli italiani hanno cercato altre strade per affermare la propria presenza nel mondo: con un successo iniziale brillante ma anch'esso non privo di ombre, a giudicare da quel che è avvenuto negli ultimi anni.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.