«La giornata di lavoro di Putin inizia sempre allo stesso modo. Nel primo pomeriggio, non è un tipo mattiniero, la prima cosa che fa è leggere i rapporti quotidiani di tre dei suoi servizi segreti: Fsb, Svr e Fso. Sono loro, diciamo così, a colorare il suo mondo, a influenzare il modo in cui vede le cose». Mark Galeotti, inglese mezzo italiano (padre di Carrara) è un'autorità in tema di Russia. Consulente e docente universitario ha scritto libri come «Ne need to talk about Putin» e «A short History of Russia», utilissimi per capire le sottigliezze del potere moscovita (per motivi incomprensibili né l'uno né l'altro sono stati tradotti in italiano).
Come sintetizzerebbe il ruolo dei servizi nel sistema di potere del Cremlino?
«Quella di Putin è la corte di uno Zar. E i servizi di sicurezza sono tra i baroni più importanti, pur se non i soli. Anche se non era una spia alla James Bond capisce come i servizi si muovono, capisce che non gli conviene appoggiarsi troppo a uno solo di loro ma sa che per sentimento e pragmatismo sono i suoi sostenitori chiave. Accanto a lui c'è Nikolai Patrushev, ex numero uno del Fsb, oggi presidente del consiglio di sicurezza nazionale. Un vero falco ma anche una persona di assoluto valore: Putin lo ascolta sempre con attenzione. Putin sostiene l'attività dei servizi e loro lo ripagano con la loro lealtà. C'è da chiedersi anzi, se sia diventato in qualche misura non solo uno strumento ma piuttosto una vittima dei loro interessi».
Si spiega con la loro influenza l'atteggiamento repressivo adottato nel caso Navalny?
«Navalny ha segnato un fondamentale cambio di paradigma per la Russia. Come l'invasione della Crimea. Quando è stato avvelenato il mio primo istinto è stato dire: non può essere stato Putin, gli ha consentito di operare per anni è poi non è una minaccia immediata. In seguito è emerso che a tentare di avvelenarlo erano stati proprio uomini dei servizi. Così ora credo che Putin e l'élite intorno a lui abbiano in qualche modo iniziato a credere alla loro propaganda, a pensare che davvero sia un uomo dell'Occidente. Quindi non solo un nemico ma un traditore che deve essere eliminato».
Ad avere aumentato i suoi poteri in anni recenti è l'Fso, il servizio di protezione federale.
«È un caso di scuola di come funzionano burocrazia e politica in Russia. Ogni agenzia cerca di crescere in competizione con le altre, di acquisire nuovi compiti e nuove responsabilità perché questo significa più potere e più soldi. Non è come in Occidente in cui i servizi hanno compiti più definiti, fissati dalla legge. L'Fso resta in prima battuta un'agenzia di protezione dell'élite. Ma adesso gestisce un apparato di controllo delle comunicazioni elettroniche, gestisce perfino un complesso sistema di sondaggi in giro per il Paese per capire da dove possono arrivare guai e dove fermenta il malcontento».
Anche il caso Navalny non ha fatto bene all'immagine dei servizi, con l'avvelenato che ha fatto confessare al telefono uno degli avvelenatori».
«Questo è un punto di vista tutto occidentale. Abbiamo due visioni totalmente diverse. Noi viviamo in un mondo pacifico. I russi, almeno dal 2014, hanno una forma mentale da tempo di guerra. Pensano che in questo momento il Paese affronti una minaccia esistenziale da parte dell'Occidente e per questo debba fare di tutto per sventare il pericolo. Proprio come in guerra a volte bisogna mettere in conto qualche sconfitta. Ma la loro attività in termini di intelligence è a livelli record dalla guerra fredda»
I loro cyber attacchi sembrano però di recente meno visibili.
«La maggior parte delle operazioni di conflitto
cibernetico sono di spionaggio, meno visibili rispetto a casi come l'irruzione nel sistema del partito democratico, ma altrettanto pericolose. E oggi credo che i russi badino di più al cyberspionaggio che al cybersabotaggio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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