"Basta parlare di clandestini". La sentenza della Cassazione pro migranti

La Lega che era stata citata in giudizio per alcuni manifesti affissi a Saronno per contestare l'accoglienza di 33 richiedenti asilo in un centro: il suo ricorso è stato respinto nell'ultimo grado

"Basta parlare di clandestini". La sentenza della Cassazione pro migranti
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Stop al termine "clandestini": da ora in poi gli immigrati irregolari bisognerà chiamarli semplicemente "richiedenti asilo". Chiunque entrerà in Italia, pur senza documenti e per vie illegali, non potrà essere più definito - per l'appunto - "clandestino"; nemmeno in un manifesto politico. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che ha detto l'ultima parola su una vecchia diatriba, che era in corso da sette anni, originata da una presa di posizione politica della Lega.

La Cassazione sul termine "clandestini"

Il verdetto degli Ermellini è stato depositato lo scorso 16 agosto. La vicenda era cominciata nel 2016. Il partito guidato da Matteo Salvini aveva contestato l'assegnazione di 32 richiedenti asilo a un centro di accoglienza messo a disposizione da una parrocchia di Saronno (Varese) e aveva convocato una manifestazione affiggendo cartelli con su scritto testualmente: "Saronno non vuole i clandestini. Vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo, ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse, Renzi e Alfano complici dell'invasione".

Gli avvocati di Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) e Naga (organizzazione di volontariato) avevano agito in giudizio davanti al Tribunale di Milano contro la Lega affermando che qualificare i richiedenti asilo come clandestini costituisce "molestia discriminatoria", ovvero un comportamento atto a "offendere la dignità della persona e a creare un clima umiliante, degradante e offensivo". Dopo che i giudici di primo e secondo grado avevano già accolto le ragioni delle due associazioni, la Cassazione ha confermato che "gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello Stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel Paese di origine, di subire un grave danno, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque 'clandestini'". La lega ora, oltre alle spese di lite, dovrà pagare un risarcimento del danno.

La guerra al vocabolario

Con questa sua decisione, la Corte di Cassazione rischia adesso di aprire una "guerra" non irrilevante tra l'interpretazione di una sentenza giudiziaria e il vocabolario. Andando a consultare, per esempio la Treccani, definisce il termine "clandestino" - nella sua genericità - come tutto quello "che è fatto di nascosto, e si dice per lo più di cose fatte senza l'approvazione o contro il divieto delle autorità"; più nel dettaglio, citando esplicitamente l'esempio dell'"immigrato clandestino", è colui "che entra in un Paese illegalmente".

Ora, se si dovesse seguire pedissequamente le indicazioni di questa sentenza, bisognerebbe riscrivere tutti i dizionari specificando, alla voce "clandestino", che si possono ritenere tali tutti quei cittadini stranieri che si trovano e vivono nel nostro Paese senza aver superato un regolare controllo alle frontiere o che hanno il permesso di soggiorno o il visto scaduti e che, quindi, non hanno alcun titolo legale per rimanervi.

Insomma: non valgono più i "soli" elementi della mancanza di documenti e delle vie illegali percorse per entrare in un territorio per essere appellato "clandestino". Le ristampe dei vocabolari sono ora più urgenti che mai. Cari linguisti, affrettatevi!

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