La notizia era nell’aria da settimane, il Giornale ha avuto un’importante conferma da Radio Carcere. Dietro il recente trasferimento di Andrea Beretta, l’ultrà interista che ha ammazzato il rampollo di ’ndrangheta Antonio Bellocco a Milano, c’è l’ipotesi di una stretta collaborazione con le forze dell’ordine, financo un possibile pentimento.
«Sta in un carcere in centro Italia famoso per essere quello dove spediscono i collaboratori di giustizia», ci dice una fonte penitenziaria. Le ultime notizie lo davano trasferito già a fine settembre, per motivi di sicurezza, da Opera a San Vittore in isolamento. Lontano da occhi e orecchie indiscrete. In realtà nei giorni scorsi - ma la conferma è arrivata solo oggi - sarebbe stato spostato in un altro penitenziario molto lontano da Milano ma anche dalla Calabria, dove la cosca della sua vittima gliel’ha giurata e lo vuole morto.
Difficile avere altre conferme di questa indiscrezione. Il suo ex legale di fiducia Mirko Perlino ha abbandonato la sua difesa diversi giorni fa, difficilissimo rintracciare il suo nuovo avvocato e verificare la notizia, che circolava comunque da giorni nelle redazioni.
Se davvero Beretta avesse deciso di collaborare con la giustizia si spiegherebbero molte cose: il collimare di alcune indagini ferme da anni, come il tentato omicidio di Enzo Anghinelli a colpi di pistola il 12 aprile 2019 per mano - questa è l’ipotesi della Procura di Milano - dell’altro ultrà rossonero Daniele Cataldo, uomo di fiducia del capo milanista Luca Lucci, già in cella per le indagini sulle curve milanesi e indagato per concorso in tentato omicidio. Sullo sfondo resta gestione dei business milionari dietro la Curva dell’Inter. Ma a tremare sono le organizzazioni criminali che gestiscono gli affari collegati al tifo e benedetti dalla ’ndrangheta, dalla droga ai parcheggi, dal merchandising al bagarinaggio, dalla security nei locali ai festini hard.
Non saranno contenti neanche i parenti della storica cosca Bellocco di Rosarno: «Che sembri un suicidio in cella o meno poco importa, Beretta deve morire», avrebbe detto di recente un affiliato calabrese a Klaus Davi legato a Giuseppe Pesce detto Testuni (cugino della vittima), appena uscito da 13 anni al 41bis e capo indiscusso della famiglia Pesce-Bellocco. Certo, Beretta pensava che Bellocco lo volesse ammazzare, l’accanimento sulla vittima immortalato dalle telecamere della palestra Testudo di Cernusco sul Naviglio, con diverse coltellate, ne ha comunque segnato il destino. Tanto vale pentirsi e chiedere la protezione dello Stato. E la memoria torna alle frasi che la madre di Bellocco Aurora Spanò, condannata a 25 anni nel processo Tramonto (sette in più del marito Giulio Bellocco, morto a gennaio a 74 anni), in carcere al 41bis: «I familiari si affidano all’iter giudiziario confidando nell’operato della magistratura per tutelare un giovane sottratto per sempre al suo ruolo di padre e marito», le parole pronunciate dalla donna, ultima esponente della ’ndrangheta matriarcale in cui sono le donne a comandare.
Ma a tremare sarebbe anche il presunto ras della Barona Nazzareno Calaiò alias Principe, al centro di un traffico di droga, pizzicato in un'intercettazione a invocare la testa dell’altro ultrà milanista Vittorio Boiocchi, ammazzato sotto casa sua due anni esatti fa con una pistola proveniente dalla Repubblica Ceca e recentemente condannato in abbreviato al processo Barrio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.