La «mostrificazione» di Alessia Pifferi funziona a tal punto che nessuno si indigna se la Procura indaga il suo legale e due psicologhe. E il diritto alla difesa? Se le professioniste hanno violato la deontologia pagheranno, ma che la Procura a caccia di reati spii le telefonate tra la Pifferi e l’avvocato e le psicologhe è inaccettabile, proprio perché comprime il diritto alla migliore difesa a vantaggio di un pregiudizio investigativo. La riforma della giustizia vorrebbe richiudere lo steccato sull’inviolabilità dei rapporti tra difensore e indagato e bene fa l’Ordine degli avvocati a sentire puzza di bruciato nell’infamante accusa di falso - ancora tutta da dimostrare - contro l’avvocato Alessia Pontenani che comunque le crea già una «lesione reputazionale indelebile».
Si adombra il sospetto su due professioniste, dando un peso mediatico eccessivo alle riserve di due colleghi sguinzagliati dall’accusa, calpestando il diritto alla presunzione d’innocenza che Parlamento e Unione europea tentano (invano, finora) di salvaguardare.
Intanto il processo appare deciso: ma che sia condannata a 30 anni o a 12, che cosa cambia? Non c’è pena per una madre che ha lasciato morire di stenti la povera Diana di 18 mesi. Non c’è pena per una donna apparsa incapace di percepire fino in fondo la gravità del suo comportamento, figlio soprattutto di uno spaventoso vuoto relazionale. Dov’è il padre biologico della bimba? Dove sono i parenti, gli amanti, gli amici, se ne aveva? Nessuno, dall’ospedale dove ha partorito fino al Comune e ai servizi sociali, si è mai occupato di queste fragilità prima dell’infame destino oggetto del processo.
Tanti vorrebbero rinchiudere il «mostro» e gettare la chiave, la Procura lo fa ringhiando contro chi, forse violando la legge, cerca di alleviare il peso di una schiacciante responsabilità penale ma anche etica e morale. Ma accanirsi contro un facile capro espiatorio rischia di cancellare il diritto a difendere l’indifendibile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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