Inchiesta su rapporti politica-'ndragheta: indagati ex senatore e consiglieri regionali

Finiscono accusati Giovanni Bilardi, Domenico Battaglia (Pd) e Mario Cardia (Lega). L’ipotesi di reato da parte delle procura di Reggio Calabria è quello di scambio elettorale politico-mafioso

Inchiesta su rapporti politica-'ndragheta: indagati ex senatore e consiglieri regionali
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Si sta allargando a macchia d'olio l'inchiesta "Ducale" coordinata dalla Dda di Reggio Calabria sulle relazioni pericolose tra 'ndrangheta e politica. Nel registro degli indagati sono risultati infatti iscritti l'ex senatore Giovanni Bilardi, eletto nel 2013 nella lista di centrodestra Grande Sud, l'ex consigliere regionale e assessore comunale di Reggio Calabria Domenico "Mimmetto" Battaglia, del Partito Democratico, e Mario Cardia, consigliere comunale della Lega. L'ipotesi di reato a loro carico è quello scambio elettorale politico mafioso. L'indagine della procura reggina portato all'emissione di quattordici misure cautelari lo scorso 11 giugno. Il gip Vincenzo Quaranta, accogliendo parzialmente la richiesta avanzata dalla Dda, aveva spedito in carcere sette degli indagati, quattro agli arresti domiciliari e tre sottoposti all'obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria.

I politici locali coinvolti nell'inchiesta

La cosiddetta operazione "Ducale" - eseguita dai carabinieri del Ros, coordinata dal Procuratore Giovanni Bombardieri e dagli Aggiunti Stefano Musolino e Walter Ignazitto - sta mettendo sotto la lente d'ingradimento le attività della cosca "Araniti" in relazione alle elezioni regionali del gennaio 2020 e a quelle dell'ottobre 2021, nonché alle elezioni comunali del settembre 2020. Tra gli arrestati di ventitre giorni fa ci sono il presunto capo cosca Domenico Araniti, fratello del boss Santo Araniti, e il genero Daniele Barillà. Quest'ultimo, secondo l'accusa, sarebbe l'anello di cerniera tra la cosca e la politica. Nell'indagine giudiziaria risultano inoltre indagati, con la stessa ipotesi d'accusa, il consigliere regionale di Fratelli d'Italia, Giuseppe Neri, e il consigliere comunale di Reggio Calabria, del Pd, Giuseppe Sera, nei confronti dei quali il gip ha rigettato la richiesta di custodia cautelare in carcere. Nell'inchiesta è infine sospettato abche il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, per l'ipotesi di reato di scambio elettorale politico-mafioso.

Le accuse a Neri: accordo con Barillà per le Regionali

Neri, candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria del 2020 e del 2021, secondo l’accusa avrebbe "accettato la promessa di procurare voti in suo favore da parte di appartenenti all'associazione mafiosa" e, più precisamente, "alla cosca Araniti, operante prevalentemente all'interno del territorio urbano di Reggio Calabria e, in particolare, a Sambatello" comunque da parte di soggetti che ne rappresentavano la volontà in quanto "autorizzati dal capocosca Domenico Araniti 'il Duca'". Questi avrebbero minacciato chi face campagna elettorale "in favore di altri candidati come, ad esempio, in occasione delle minacce rivolte da Daniel Barillà e Ignazio Borruto, a Stefano Bivone (presidente provinciale della Coldiretti di Reggio Calabria), nonché di altra persona titolare di una scuola guida reggina, per indurli a non votare il candidato concorrente Creazzo Domenico ed orientare il loro consenso elettorale verso il candidato Giuseppe Neri".

La promessa di Sera di un incarico per il figlio del capoclan

Per gli inquirenti, lo stesso Neri "si era accordato con Daniel Barillà, dedito all'infiltrazione del settore politico-istituzionale, che operava su mandato e con la supervisione del capocosca Domenico Araniti, e con il supporto dei sodali Paolo Pietro Catalano e Ignazio Borruto, nonché di Sergio Rugolino, mediante i quali veniva attuata la promessa di raccogliere voti". Sera, da parte sua, si sarebbe accordato con il capoclan Araniti recandosi presso la sua abitazione il 6 settembre 2020, nonché con Barillà, "rappresentante politico e intermediario per conto della cosca Araniti".

Su mandato e con la supervisione del capocosca e con l'ausilio di Paolo Pietro Catalano (indagato), loro "hanno attuato la promessa di raccolta voti in cambio dell'erogazione e della promessa di varie utilità, tra le quali, la promessa di inserire Antonino Araniti, figlio di Domenico, nella struttura politica comunale del Partito democratico", con il contestuale impegno a spostarlo dall’Ufficio comunale Settore Patrimonio ed Erp cui apparteneva, cercando di "evitargli le sanzioni disciplinari derivanti dalla sua condotta negligente nello svolgimento dei compiti connessi al suo rapporto lavorativo (sanzione tuttavia comminatagli, con licenziamento disciplinare)".

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