Un'intera famiglia condannata per omicidio. Trent'anni di carcere è la condanna inflitta oggi dalla corte d'Assise di Pavia per Antonio Rondinelli, 65 anni, sua moglie Carmela Calabrese, 56 anni, e il figlio Claudio Rondinelli, 40 anni, alla sbarra per l'omicidio volontario e l'occultamento del cadavere di Ibrahim Mohamed Mansour, un egiziano ucciso a colpi di arma da fuoco e ritrovato morto carbonizzato nella sua auto, il 14 gennaio dell'anno scorso. Un altro figlio, Massimo Rondinelli, 35 anni, era stato condannato in abbreviato a 19 anni. Sono state parzialmente accolte oggi le richieste del pm Andrea Zanoncelli, che aveva chiesto una condanna a 30 anni per padre e figlio Rondinelli, mentre per Calabrese aveva chiesto una condanna a 16 anni di carcere in quanto il suo ruolo nell'omicidio era stato ritenuto marginale. Tutti hanno continuato a professarsi innocenti fino alla lettura del verdetto, oggi pomeriggio. I giudici hanno stabilito un risarcimento da 700 mila euro per i familiari della vittima, parti civili e assistiti dall'avvocato Fabio Santopietro. Il delitto, stando alla ricostruzione della procura, avvenne nel capannone di Cassolnovo, di proprietà della famiglia Rondinelli e dove lavorava Ibrahim Mansour. La vittima fu poi ritrovata nella sua auto nelle campagne della frazione Morsella, notata da un passante.
La tesi della Procura è che il movente sia economico. E cioè che Mansour sia stato ucciso per via della sua insistenza, diventata via via sempre più pressante, nel chiedere agli imputati di intestargli una casa, necessaria per chiedere l'affidamento della figlia, avuta cinque anni prima da una delle sorelle Rondinelli. Figlia per cui provava un affetto profondissimo. Avrebbe anche avanzato continue richieste di denaro. Il pm Zanoncelli è convinto che padre e figli abbiano sparato al 44enne con un fucile da caccia, per poi dare fuoco all'auto in cui è stato ritrovato il corpo, alcuni giorni dopo il delitto. Carmela Calabrese, invece, difesa dall'avvocata Rosemary Dos Anjos, avrebbe avuto un ruolo solo morale nel delitto, secondo il pubblico ministero. In particolare la donna, dopo una serie di contatti telefonici tra familiari, avrebbe trattenuto al telefono Ibrahim venti minuti, che era nel capannone di Cassolnovo dove lavorava: e cioè il tempo necessario perché padre e figli potessero raggiungerlo e infine ucciderlo.
La tesi difensiva è stata invece che Mansour sia stato invece coinvolto in un giro di droga, ma non vi sono stati elementi sufficienti a supporto e diversi testimoni hanno negato un suo coinvolgimento in affari poco chiari riguardo gli stupefacenti. Le motivazioni del verdetto saranno depositate entro 90 giorni.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.